martedì 16 aprile 2013

Amato o Rodotà? Le difficili scelte del PD

Una cara amica molto addentro alle cose del PD mi dice che non c'è da fidarsi dei media soprattutto in questi momenti. Insomma, i nomi che sono venuti fuori in questi giorni non sono probabilmente veri. Che dire, lo spero davvero. Secondo Repubblica e Corriere la rosa dei candidati PD (leggi, del segretario Bersani) sarebbe Marini, Finocchiaro, Amato. Nomi, francamente, impresentabili. Davanti alla voglia di rinnovamento espressa dal paese - e ben recepita da Bersani con l'elezione di Grasso e Boldrini - questi candidati andrebbero in direzione completamente opposta, candidati di establishment che farebbero l'occhiolino al voto dei berluscones. Marini, grande vecchio democristiano. Finocchiaro, in Parlamento dal 1988, e con qualche scheletro nell'armadio - no, non la foto all'IKEA, ma aver corso per la regione Sicilia, perso, e poi essersi trasferita armi e bagagli in Senato senza colpo ferire. Ma il peggio, se possibile, sarebbe Amato, luogotenente craxiano della prima Repubblica, Primo Ministro tecnico a inizio anni 90, Primo Ministro ancora durante la travagliatissima legislatura 96-2001. A torto o (soprattutto) a ragione, l'emblema della politica di palazzo, del compromesso di potere, della politica da buttare degli ultimi 30 anni.
Proprio perchè mi pare un harakiri incredibile per il PD, voglio credere che si tratti di chiacchere dei giornali. Più facile e ragionevole sarebbe invece rivolgersi al M5S che nelle sue Quirinarie ha proposto molti nomi che in qualche maniera sono riconducibili al campo progressista. Lasciando perdere Gabanelli e Strada - ottimi esponenti della società civile che bene farebbero a rimanere dove sono - non possono non saltare all'occhio i nomi di Prodi, Zagrebelsky e Rodotà. Il primo, sostenuto dall'insolita coppia Vendola-Renzi sarebbe il garante dell'anti-berlusconismo al Quirinale, nonché un candidato con un pedigree internazionale di tutto rispetto. Un bel nome con un difetto: non si apre una nuova fase politica con un nome che è stato, insieme a Berlusconi, il fulcro della Seconda Repubblica.
Gli altri due sono invece due veri e propri presidente di garanzia: non garanzia dei partiti, non garanzia degli equilibri politici esistenti, non garanzia di certi poteri e interessi. Garanzia, invece, dei cittadini e della Costituzione. Garanzia soprattutto dei diritti che così spesso sono sotto attacco negli ultimi anni. In breve, garanzia di democrazia. Non dovrebbe essere dunque una scelta difficile, per un partito che si chiama democratico.

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