venerdì 5 aprile 2013

La Corea e l'Occidente


di Nicola Melloni
da Liberazione

Ma sono tutti matti questi Nord coreani? Questa è la legittima domanda che si potrebbero porre la maggioranza dei lettori italiani – e non solo – seguendo le notizie che arrivano dall’Asia. Un piccolo paese governato da una dinastia di autocrati che, di punto in bianco, o quasi, minaccia di andare in guerra contro gli Stati Uniti. Una follia, appunto.
In realtà le cose stanno in maniera piuttosto diversa. La Corea del Nord è un paese povero, poverissimo, nel mezzo di un conflitto geo-politico che va ben al di là dell’importanza di Pyongyang. Fino agli anni 70 era un paese di medio reddito, più ricco e sviluppato della Corea del Sud che, sfruttando abilmente il conflitto tra Cina e Urss, riusciva ad ottenere significative concessioni da entrambi. In quegli anni però, come in tutti i paesi socialisti, iniziò una seria stagnazione economica peggiorata ulteriormente dalla fine dell’Urss e dunque degli aiuti economici. Trovatasi senza il suo principale alleato, la Corea del Nord provò subito un riavvicinamento con il Sud e con l’America, ma fu inizialmente ignorato dall’amministrazione americana che, come per il caso di Cuba, si aspettava una rapida implosione del regime. Cosa, però, mai successa.
A fine anni Novanta, per la prima volta, la Corea del Sud ebbe un presidente progressista, Kim Dae Jung, che fece del buon vicinato con il Nord l’emblema della sua politica – la cosiddetta sunshine policy. Con ottimi risultati: le due squadre marciarono unite sotto una sola bandiera alle Olimpiadi di Sidney; e la distensione diplomatica favorì le prime visite di cittadini del Sud oltre confine per incontrare famigliari da cui erano stati separati per oltre 50 anni. Purtroppo, con la presidenza Bush le cose cominciarono a cambiare velocemente, con l’America nuovamente impegnata in una sorta di guerra santa contro “il male” e i cosiddetti stati-canaglia in cui la Corea del Nord venne subito inclusa. E’ in quel momento che la Corea del Nord comincia in grande stile un’operazione di riarmo a partire da armi atomiche – un chiaro messaggio indirizzato a Washington, che intanto invadeva Afghanistan e Iraq con una politica estera sempre più agressiva e minacciosa. La Corea del Nord, in realtà, usò il riarmo come arma diplomatica per potersi sedere al tavolo delle trattative con un maggior potere contrattuale, una mossa certamente rischiosa ma tutt’altro che folle. Ed anche la recente escalation ha una tempistica ben calcolata: solo pochi mesi fa, sia in Corea del Sud che in Giappone, vi sono state elezioni in cui hanno trionfato i conservatori nazionalisti, indisponibili al dialogo e che predicano una linea di fermezza con il Nord. Ed è recentissima l’esercitazione congiunta di Usa e Corea del Sud a poche miglia dalle coste del Nord.
Né si può dimenticare che al confine tra le due Coree sono di stanza 35 mila soldati americani, più altri 50 mila in Giappone. Insomma, una vera armata alle porte di casa che non fa altro che aumentare la sensazione di accerchiamento dei nord-coreani – che è un pò l’argomento che spesso si usa in Occidente per giustificare il riarmo israeliano ma che si evita accuratamente nel caso della Corea del Nord. In sintesi, se è vero che le manovre ostili di Pyongyang creano una situazione di altissima tensione, è però anche vero che non sono completamente folli e dunque, per allentare la tensione, l’unica cosa possibile da fare sarebbe un parziale disarmo su entrambi i fronti e rassicurazioni da parte americana sulla sicurezza di Pyongyang.
Scenario purtroppo implausibile. Soprattutto perché, in realtà, le truppe americane in Asia sono uno strumento di pressione e minaccia, non tanto contro Pyongyang quanto, piuttosto, contro Pechino. Non a caso la Cina è da anni supporter di una Corea rappacificata, in prospettiva unita, e soprattutto demilitarizzata – cosa che gli Usa non sono assolutamente disponibili a discutere, preferendo di fatto la sopravvivenza di un regime dittatoriale e ostile al Nord, che possa giustificare la loro presenza nella penisola coreana.
In realtà, dunque, il vero problema sono i rapporti tra Usa e Cina. Se quelli che ormai sono i due poli del potere politico ed economico del XXI secolo sapranno trovare una base per un rapporto reciprocamente proficuo, anche la situazione coreana potrà finalmente risolversi, con oltre vent’anni di ritardo rispetto alla fine della Guerra Fredda. Ma se la politica estera americana sarà ancora impostata sul contenimento della Cina e dunque sulla competizione invece che sulla cooperazione, allora le chance per mettere in sicurezza le coste settentrionali del Pacifico saranno assai scarse. Un banco di prova decisivo per la presidenza Obama.

La Vita Agra - Carlo Lizzani, 1964


La cineteca politica di RI
di Giulia Pirrone

L'Italia tra il miracolo economico e gli anni di piombo

Tratto dall'omonimo romanzo di Luciano Bianciardi del 1962, La Vita Agra e' stata la prima volta sul grande schermo di Enzo Jannacci. Si tratta di un cameo del cantante che si esibiva alla Latteria Pirovini nella sua prima canzone, L'ombrello di mio fratello.

Il film, che fu realizzato da Carlo Lizzani e' un'agra commedia all'italiana, come suggerisce il titolo, una fotografia dell'Italia nel periodo immediatamente successivo al miracolo economico e di poco precedente agli anni di piombo.
Sono le vicende della vita di Luciano Bianchi, interpretato da Ugo Tognazzi, a permettere a Bianciardi e Lizzani di descrivere gli effetti che la repentina industrializzazione degli anni'60 ebbe sulle città' e sulle coscienze dei suoi abitanti. E difatti se il benessere economico ha plasmato il panorama (la Milano che appare nel film e' in perenne costruzione, frenetica, ed i suoi centri di vita sono i quartieri satellite ed i grattacieli del potere: Torre Galfa ed il Pirellone), tra le sue principali conseguenze sono state lo spersonalizzamento e lo spegnimento della coscienza degli esseri umani. E questo e' ciò' che accade a Luciano Bianchi, giunto a Milano con intenti rivoluzionari per vendicare il posto di lavoro perso ed i colleghi morti in un incidente nella miniera, che finisce invece, attraverso un processo che sembra assolutamente naturale, a far carriera e per giunta all'interno della società' da cui era stato licenziato.
L'uomo e la città' sono cambiate ad un passo così' rapido da non permettere che si comprendano appieno gli eventi ed il loro significato. Luciano Bianchi e' un uomo che arriva in città' con una forte determinazione a distruggere tutto, ma infine viene assorbito e narcotizzato dalla chimera dello sviluppo e del consumismo, con punte di grottesco e di cinismo che si rivelano nel finale del film.

Di Carlo Lizzani si parla purtroppo molto poco, e poco vengono ricordati i suoi film. Di sicuro e' difficile inquadrare il suo cinema all'interno di un genere preciso visto che la sua filmografia vanta western, documentari, commedie e drammi storici. Ma il genere cinematografico oltre che stile e' strumento, e di questo La Vita Agra ne e' un bellissimo esempio, avendo Lizzani riunito al suo interno diversi stili narrativi (a volte documentaristico, a volte ispirato alla Nouvelle Vague), come inserti che destabilizzano la dimensione sicura e solida della commedia all'italiana e danno una dimensione profonda al racconto.