lunedì 11 marzo 2013

11 marzo 2004

Di Monica Bedana

Ho vissuto un altro momento di grave emergenza sociale e democratica, in un altro Paese, a ridosso delle elezioni politiche. Era l'11 marzo del 2004 e in Spagna si votava domenica 14.

E faceva ancora freddo da cappotto pesante quella mattina di caos e angoscia di nove anni fa, quando le bombe sui treni di Madrid uccisero 191 persone e ne ferirono quasi 1900.

E dopo due giorni andammo a votare anche per coloro che non poterono farlo. A votare contro la manipolazione e le bugie. In una situazione estrema, in un Paese spaccato in due dal lutto (e che poi non si è mai più riconciliato), riflesso nell’antagonismo feroce di quasi otto anni di bipolarismo parlamentare. Un sistema che ha retto fino allo scoppio dell’attuale crisi economica.

A distanza di anni provo ancora imbarazzo nel ricordare il patetico tentativo di allora del governo Aznar di addossare l’attentato all’ ETA per far bottino alle urne con l’argomento populista per eccellenza, la lotta al terrorismo.
E’ lo stesso imbarazzo che provo ora nel vedere Bersani arrabattarsi su un programma post-elettorale che probabilmente si spinge più a sinistra solo perché gettare la palla al centro è stato deleterio per la sopravvivenza del partito, non perché si senta fino in fondo la necessità di certe riforme per il bene del Paese.

Politici sganciati dalla realtà, che non riescono a prendere coscienza di essa nemmeno quando esplode loro in faccia.

In difesa del finanziamento pubblico ai partiti

Adesso anche Renzi, dopo Berlusconi, salta sul cavallo di battaglia del M5S e tenta di dominarlo, o ancora meglio, copiarlo. Stop al finanziamento pubblico ai partiti, una sfida lanciata quasi più a Bersani che a Grillo.
Una sfida facile facile, dal sapore populista. In fondo è quello che la gente vuole: i partiti rubano, togliamo loro i soldi, che vengono dalle nostre tasche per mantenere un gruppo di parassiti.
Ora, sul fatto che il malcostume politico in Italia è dilagante non ci sono dubbi. Ed è più che legittimo che questo renda davvero odiosa l'idea che al Parlamento dove si prendono 10 mila euro al mese si mangi con 2 euro. Altrettanto inaccettabile è che coi soldi dei contribuenti si organizzino festini e mangiate di ostriche.
Ma il finanziamento pubblico ai partiti è ben altra cosa. E' uno dei fondamenti della democrazia: soldi pubblici per persone e associazioni che si interessano della cosa pubblica. Per non lasciarla nelle mani di chi questi soldi non ha bisogno. Per esempio di un miliardario sceso in politica con tutte le sue aziende sulle spalle e una potenza di fuoco - mediatico, di risorse, di spesa - mai vista prima in Europa. O anche di un comico più che benestante con una società di gestione web e marketing alle spalle.
Pure senza doverci per forza concentrare sul caso italiano - che è comunque ai limiti dell'emergenza democratica - basta dare una occhiata al di là dell'oceano per vedere quali siano i drammi di una politica "privatizzata". Vincono i candidati che riescono a raccogliere più fondi privati - e questa capacità, in media, non è il risultato della popolarità del personaggio in questione e nemmeno della giustezza delle sue proposte politiche. La maniera più semplice ed efficace per raccogliere denaro - e quindi, appunto, per vincere le elezioni - è farsi promotore di politiche ed idee pro-ricchi e soprattutto pro-corporation, cioè andare a chiedere i soldi a chi ce li ha davvero.
Il risultato è una politica di marca oligarchica in cui davvero sinistra e destra non esistono più come dice Grillo - tutte e due gareggiano per fare gli interessi dei padroni.
Ecco, il furbetto di Firenze ed i suoi seguaci tra i democrats dovrebbero forse pensare a questo prima di seguire Grillo&C. sul pericoloso crinale della demagogia spacca-tutto. Più moralità in politica è la base di partenza. Ma il punto di arrivo non può essere la privatizzazione. A meno che non si pensi davvero di buttare via il bambino-democrazia insieme all'acqua sporca dei privilegi.

Jose Mujica



il presidente che vorremmo