giovedì 21 febbraio 2013

Gianni Vattimo con Rivoluzione Civile

Proponiamo di seguito una intervista a Gianni Vattimo apparsa su Micromega. Vattimo spiega perchè appoggia Rivoluzione Civile e Antonio Ingroia, tornando alle differenze fondamentali tra sinistra e destra - e ribadendo perchè oggi più che mai ci sia bisogno di sinistra. Sinistra che esiste solo tra le fila di Rivoluzione Civile perché il PD che ha appoggiato Monti e vuole tornare a governare con Monti non può essere la sinistra dalla parte dei più deboli, dei più bisognosi. Ne tenga conto anche SEL....

colloquio con Gianni Vattimo di Rossella Guadagnini
da Micromega

Il countdown è cominciato. La settimana che manca al voto significa per i partiti l’ultima occasione per rafforzare le proprie posizioni, conquistare gli indecisi, contrastare la spinta all’astensionismo. L’incognita del Senato pesa come un macigno sulla formazione del futuro governo. Nella convulsa campagna elettorale cui abbiamo finora assistito due sono le novità: Beppe Grillo con il M5S e Antonio Ingroia con Rivoluzione Civile. E il resto? E’ noia, secondo il filosofo Gianni Vattimo, che spiega a MicroMega come sulle politiche economiche ci sia ben poco di diverso tra le proposte di Bersani e quelle di Monti. Per scongiurare un futuro di conflitti sociali, avvisa l’europarlamentare Idv, serve una forte affermazione delle componenti della sinistra, a partire da Rivoluzione Civile.

Destra e sinistra: qualcuno sostiene che siano concetti obsoleti, non più in grado di descrivere la realtà, specie per i giovani.La differenza tra destra e sinistra è l’unica cosa in cui possiamo ancora credere. Destra e sinistra oggi sono più vive che mai e si vede benissimo. La destra, in questo momento, significa Europa, Monti, banche e messa in ordine dei conti. Uno schieramento che domina perché ha il controllo dei media. La sinistra, invece, significa più politica sociale, meno disuguaglianze, sostegno ai diritti civili e una patrimoniale seria. Il patto con la Svizzera per il rientro dei capitali, noi non l’abbiamo fatto. L’hanno fatto Inghilterra e Francia, tassandoli al 20 per cento. La destra ha una natura darwiniana e razzista: vuole usare le differenze naturali per lo sviluppo. La sinistra vuole correggere le differenze naturali in modo che tutti possano competere cominciando dallo stesso livello.

Lei è eurodeputato dell’Idv, ora impegnato con Rivoluzione Civile. Ingroia ha detto “siamo l’unica speranza di cambiamento per la sinistra”: è così?Sì, anche se la sinistra potrebbe essere ben più ampia. Se siamo solo noi è dura... La situazione è tale che in virtù del ‘voto utile’ Bersani incastra persino Vendola, facendogli balenare, con estremo cinismo, l’idea delle nozze gay. Ha ragione Ingroia non perché dobbiamo vincere per fare il governo di sinistra, ma perché se davvero riuscissimo a ricostruire la foto di Vasto (con Bersani, Di Pietro e Vendola, ndr.) e se Bersani si togliesse quel pregiudizio, instillatogli da quel buonuomo di Napolitano, e si rimettesse con la sinistra, le cose andrebbero in un altro modo.

Perché Bersani, a suo giudizio, non è dalla parte della sinistra? Bersani si appresta ad allearsi con Monti, Casini e Fini. E lo dice perfino: anche se avessimo il 51 per cento dei voti, cercheremmo l’alleanza con loro. Oltretutto è quello che ha votato tutti i provvedimenti del governo Monti. Ha continuato a dire che la legge Fornero va bene così. Cosa pretende? Questa non è sinistra. L’unica speranza sarebbe un’affermazione di Ingroia tanto grande da convincerlo a stare da quest’altra parte. Purtroppo è un’ipotesi poco verosimile. C’è chi sostiene che Vendola sposterà Bersani a sinistra. E’ vero semmai il contrario: è Bersani che tira Vendola al centro. Mi aspetto un crollo di consenso per lui. Contro montismo, bersanismo e napolitanismo i più vicini a Rivoluzione Civile, tra tutti, sono in questo momento i grillini. Loro, però, vogliono godersi la loro verginità politica.

Non sono proprio di sinistra i grillini…Ma per sbattere le cose in faccia a Bersani vanno bene. La speranza possibile della sinistra è che si costituisca un grande movimento di opposizione. Negli anni ‘50 e ‘60 la Dc non ha mai compiuto le porcate di Berlusconi, perché c’era un partito comunista che la limitava. L’unica speranza è o di tirare più a sinistra Bersani o di creare un nucleo di resistenza antimontiana. Se si va avanti con l’agenda Monti, temo non regga il tessuto sociale. Sono molto preoccupato di quanto può succedere. Economisti come Gallino, che condannano l’agenda Monti e poi annunciano di votare per Sel, dovrebbero tenerne conto. Lui, che è tra i promotori di “Cambiare si può”, dovrebbe sapere quale rischio si corre tenendo bordone a Bersani.

Quale sinistra uscirà da queste elezioni? La cosa auspicabile sarebbe la nascita di un vero movimento di sinistra. Se il Pd rifiutasse l’accordo con Monti, se potesse fare a meno dei suoi voti, potrebbe tentare una vera politica di sinistra. Il che – sia chiaro – oggi significa solo un po’ di oliatura degli ingranaggi, nel senso di applicare una politica capitalista meno disumana. In questa situazione internazionale bancaria ed europea, grandi aspettative che un governo di sinistra possa fare qualcosa di serio non ce ne sono. Se la sinistra estrema andasse al potere metterebbe in atto la patrimoniale. Ma riusciremmo davvero a farla? Oggi la rivoluzione francese sarebbe impossibile: a salvare Luigi XVI interverrebbe la Nato.

Il capitalismo, perciò, non ha alternative?Il capitalismo può essere estremizzato, come nel caso di Monti e delle banche, e trasformarsi così in fascismo, in governo di destra. Oppure può essere un capitalismo morbido, come quello che Bersani e Renzi ci propongono, in cui ci sono un po’ più di soldi per università e stato sociale: non so però fino a che punto potrà essere realizzabile. Se restiamo nell’ambito del sistema bancario internazionale, dei vincoli europei, pagando il debito, non so se ce la faremo. Guardiamo a quanto succede in Grecia, di cui parliamo troppo poco: tutti i giorni là c’è uno sciopero generale. L’Italia o si adatta a diventare una terra di sfruttamento, una specie di colonia, oppure vivrà un capitalismo ‘dal volto umano’. Questa prospettiva, tuttavia, è difficile da immaginare stando l’ordine mondiale così com’è. Il debito: come facciamo a pagarlo? Come rispettare le norme dell’agenda Monti, senza sputare sangue nei prossimi dieci anni?

Quindi che fare?Non penso che Bersani sia in malafede. E’ vero che non esiste un’alternativa rivoluzionaria al riformismo. Questo è il problema. La sinistra deve inventare una forma di opposizione dura e robusta per limitare i danni di questi governi euro-bancari. Se sia più realizzabile con una vittoria di Bersani oppure con una grande affermazione di sinistra, si può discuterne. Ma credo che per evitare di beccarsi Monti a vita, la sinistra estrema deve riuscire a tirare Bersani dalla sua parte e questo solo per ottenere un capitalismo meno feroce e sanguinario. In Europa, ad esempio, si potrebbe tentare con Hollande e con la Spagna la trasformazione della Bce in una banca come la Federal Reserve.

Molti parlano di una prossima legislatura breve e di nuove elezioni. E’ quello che ci aspetta?Immagino in ogni caso una situazione di lungo conflitto sociale o perché non si riesce a fare la maggioranza governativa o perché si riesce a farla con le forze cosiddette europeiste, quindi reazionarie, conservatrici e bancarie. Davvero occorre prepararsi alla resistenza. No Tav è un esempio: lì c’è un’iniziativa antieconomica, antipopolare. E’ qualcosa che continuano a volere imporre dall’alto ed è un banco di prova dell’attuale capitalismo di rapina.

Tra i temi della campagna elettorale ha pesato la questione dell’immagine dell’Italia in campo internazionale. Monti ne ha fatto una bandiera come segno di discontinuità rispetto a Berlusconi. Tutta l’insistenza di Monti sul fatto che ci ha salvati dal baratro è una retorica terroristica. La discesa dello spread vantata da Monti ha provocato un aumento dei disoccupati. 100mila nuovi disoccupati nell’anno del suo esecutivo sono frutto della sua politica. Ci ha salvati, da cosa? Altro che discontinuità con le politiche precedenti. Monti ha fatto quella politica che Berlusconi non ha avuto il coraggio di fare. Tanto è vero che il Pdl ha approvato senza alcun problema tutte le sue iniziative. A sinistra abbiamo recalcitrato, ma poi abbiamo accettato lo stesso.

Cosa è successo? La domanda è: perché non siamo andati a votare subito dopo la caduta di Berlusconi? Avremmo risparmiato tempo e fiato. Cosa ci abbiamo guadagnato a sospendere la democrazia e ad aumentare i disoccupati? Tutto questo solo per l’immagine internazionale dell’Italia che è costruita da quegli stessi media che, se lo volessero, potrebbero cambiarla.

Una delle questioni che più fanno discutere è quella delle spese militari. Le spese militari sono un orrore. Siamo dentro questo sistema atlantico della Nato, ma perché mai dobbiamo comprare gli F35 che costano miliardi? Il segretario del Pd ha annunciato un ripensamento sugli F35, esclusivamente per diminuire il loro numero. Siamo talmente avviluppati nel sistema capitalistico occidentale e atlantico che è difficile per tutti immaginare un’uscita. Si può pensare realisticamente a un’attenuazione dolcificante con un centrosinistra un po’ meno montiano e un po’ più attivo nei confronti dell’Europa, per far cambiare le cose, come rinegoziare tutti i patti di stabilità che ci tengono per il collo. Oppure si può immaginare una situazione di resistenza a sinistra che limiti i danni.

C’è possibilità di rifondare una nuova sinistra? Una vittoria di Ingroia convincerebbe molti a sperare di nuovo nella sinistra. Dunque quale che sia il futuro della legislatura significherebbe costruire una sinistra di legalità e di diritti. Forse persino i grillini, che non si fidano di nessuno, si deciderebbero.

Che esiti ha avuto il “pensiero debole” da lei teorizzato?Il concetto di debolezza era questo: non possiamo avere degli ideali filosoficamente definiti, ma solo tentare di ridurre la violenza da cui veniamo, una violenza originaria delle nostre società, della nostra esistenza. Nascere è un atto violento, nessuno chiede di nascere. L’emancipazione umana consiste nel ridurre la violenza da cui si proviene, in quanto rispetto agli individui le società sono sempre autoritarie. Tutto questo è il pensiero debole. E’ vero che un pensiero debole è più democratico di un pensiero assolutistico. Non c’e’ nessun ideale eterno stabilito, una volta per tutte, per l’umanità. Possiamo tuttavia ridurre ogni pretesa di ideali eterni, restando liberi sempre più di definire i nostri ideali di comune accordo. Non diciamo che ci siamo messi d’accordo perché abbiamo trovato la verità, ma diciamo che abbiamo trovato la verità quando ci siamo messi d’accordo.

Oggi viviamo in una democrazia “debole”?Il pensiero debole si chiama adesso il pensiero dei deboli. Chi è che accetta l’idea che non ci sia una verità assoluta? Quelli che non hanno autorità. Ai deboli non gliene frega niente che non ci sia più religione, è una cosa che interessa al Papa. Se non ho niente da difendere non me ne importa nulla. Il pensiero debole è diventato il pensiero dei proletari.

fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/vattimo-un-voto-di-resistenza-antimontiana/


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La diseguaglianza in America

Proponiamo oggi un articolo di Joseph Stiglitz apparso sul New York Times che tratta dell'annoso tema della diseguaglianza. Stiglitz, premio nobel per i suoi studi sulle imperfezioni di mercato, è da sempre un feroce critico del neoliberismo. Prima nella sua versione di globalizzazione estrema che ha gravemente svantaggiato i Paesi in via di Sviluppo, poi occupandosi delle contraddizioni del capitalismo americano. A partire appunto dalla distribuzione del reddito. In questo articolo viene messo in chiaro come il famoso sogno americano sia, effettivamente, solo un sogno. Non solo gli USA sono il paese delle diseguaglianze, ma sono pure quello che, in Occidente, dà meno possibilità di riscatto sociale per i più poveri. Una statistica per tutti: solo 4 americani su 10 nati nel 20% più povero della popolazione hanno la possibilità di uscire dalla povertà. E solo 6 su 100 di questi potranno mai arrivare nel top 20%. Altro che sogno, questo è il vero incubo americano - qualcosa che purtroppo a forza di austerity e mercatismo stiamo cercando di esportare anche in Europa!


Equal Opportunity, Our National Myth


di Joseph Stiglitz
da New York Times

President Obama’s second Inaugural Address used soaring language to reaffirm America’s commitment to the dream of equality of opportunity: “We are true to our creed when a little girl born into the bleakest poverty knows that she has the same chance to succeed as anybody else, because she is an American; she is free, and she is equal, not just in the eyes of God but also in our own.”
The gap between aspiration and reality could hardly be wider. Today, the United States has less equality of opportunity than almost any other advanced industrial country. Study after study has exposed the myth that America is a land of opportunity. This is especially tragic: While Americans may differ on the desirability of equality of outcomes, there is near-universal consensus that inequality of opportunity is indefensible. The Pew Research Center has found that some 90 percent of Americans believe that the government should do everything it can to ensure equality of opportunity.
Perhaps a hundred years ago, America might have rightly claimed to have been the land of opportunity, or at least a land where there was more opportunity than elsewhere. But not for at least a quarter of a century. Horatio Alger-style rags-to-riches stories were not a deliberate hoax, but given how they’ve lulled us into a sense of complacency, they might as well have been.
It’s not that social mobility is impossible, but that the upwardly mobile American is becoming a statistical oddity. According to research from the Brookings Institution, only 58 percent of Americans born into the bottom fifth of income earners move out of that category, and just 6 percent born into the bottom fifth move into the top. Economic mobility in the United States is lower than in most of Europe and lower than in all of Scandinavia.
Another way of looking at equality of opportunity is to ask to what extent the life chances of a child are dependent on the education and income of his parents. Is it just as likely that a child of poor or poorly educated parents gets a good education and rises to the middle class as someone born to middle-class parents with college degrees? Even in a more egalitarian society, the answer would be no. But the life prospects of an American are more dependent on the income and education of his parents than in almost any other advanced country for which there is data.
How do we explain this? Some of it has to do with persistent discrimination. Latinos and African-Americans still get paid less than whites, and women still get paid less than men, even though they recently surpassed men in the number of advanced degrees they obtain. Though gender disparities in the workplace are less than they once were, there is still a glass ceiling: women are sorely underrepresented in top corporate positions and constitute a minuscule fraction of C.E.O.’s.
Discrimination, however, is only a small part of the picture. Probably the most important reason for lack of equality of opportunity is education: both its quantity and quality. After World War II, Europe made a major effort to democratize its education systems. We did, too, with the G.I. Bill, which extended higher education to Americans across the economic spectrum.
But then we changed, in several ways. While racial segregation decreased, economic segregation increased. After 1980, the poor grew poorer, the middle stagnated, and the top did better and better. Disparities widened between those living in poor localities and those living in rich suburbs — or rich enough to send their kids to private schools. A result was a widening gap in educational performance — the achievement gap between rich and poor kids born in 2001 was 30 to 40 percent larger than it was for those born 25 years earlier, the Stanford sociologist Sean F. Reardon found.
Of course, there are other forces at play, some of which start even before birth. Children in affluent families get more exposure to reading and less exposure to environmental hazards. Their families can afford enriching experiences like music lessons and summer camp. They get better nutrition and health care, which enhance their learning, directly and indirectly.
Unless current trends in education are reversed, the situation is likely to get even worse. In some cases it seems as if policy has actually been designed to reduce opportunity: government support for many state schools has been steadily gutted over the last few decades — and especially in the last few years. Meanwhile, students are crushed by giant student loan debts that are almost impossible to discharge, even in bankruptcy. This is happening at the same time that a college education is more important than ever for getting a good job.
Young people from families of modest means face a Catch-22: without a college education, they are condemned to a life of poor prospects; with a college education, they may be condemned to a lifetime of living at the brink. And increasingly even a college degree isn’t enough; one needs either a graduate degree or a series of (often unpaid) internships. Those at the top have the connections and social capital to get those opportunities. Those in the middle and bottom don’t. The point is that no one makes it on his or her own. And those at the top get more help from their families than do those lower down on the ladder. Government should help to level the playing field.
Americans are coming to realize that their cherished narrative of social and economic mobility is a myth. Grand deceptions of this magnitude are hard to maintain for long — and the country has already been through a couple of decades of self-deception.
Without substantial policy changes, our self-image, and the image we project to the world, will diminish — and so will our economic standing and stability. Inequality of outcomes and inequality of opportunity reinforce each other — and contribute to economic weakness, as Alan B. Krueger, a Princeton economist and the chairman of the White House Council of Economic Advisers, has emphasized. We have an economic, and not only moral, interest in saving the American dream.
Policies that promote equality of opportunity must target the youngest Americans. First, we have to make sure that mothers are not exposed to environmental hazards and get adequate prenatal health care. Then, we have to reverse the damaging cutbacks to preschool education, a theme Mr. Obama emphasized on Tuesday. We have to make sure that all children have adequate nutrition and health care — not only do we have to provide the resources, but if necessary, we have to incentivize parents, by coaching or training them or even rewarding them for being good caregivers. The right says that money isn’t the solution. They’ve chased reforms like charter schools and private-school vouchers, but most of these efforts have shown ambiguous results at best. Giving more money to poor schools would help. So would summer and extracurricular programs that enrich low-income students’ skills.
Finally, it is unconscionable that a rich country like the United States has made access to higher education so difficult for those at the bottom and middle. There are many alternative ways of providing universal access to higher education, from Australia’s income-contingent loan program to the near-free system of universities in Europe. A more educated population yields greater innovation, a robust economy and higher incomes — which mean a higher tax base. Those benefits are, of course, why we’ve long been committed to free public education through 12th grade. But while a 12th-grade education might have sufficed a century ago, it doesn’t today. Yet we haven’t adjusted our system to contemporary realities.
The steps I’ve outlined are not just affordable but imperative. Even more important, though, is that we cannot afford to let our country drift farther from ideals that the vast majority of Americans share. We will never fully succeed in achieving Mr. Obama’s vision of a poor girl’s having exactly the same opportunities as a wealthy girl. But we could do much, much better, and must not rest until we do.

fonte: http://opinionator.blogs.nytimes.com/2013/02/16/equal-opportunity-our-national-myth/

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