venerdì 10 maggio 2013

Spagna: crisi economica


Questo interessante articolo, pubblicato originalmente su Infolibre e tradotto da Presseurop, ci parla di una Spagna ormai al collasso, povertà, disoccupazione, disperazione. Eppure una Spagna politicamente immobile, che non lotta per il cambiamento. Da una parte, come spesso, la disillusione con la politica porta ad una passività dell'elettorato che non vede vie d'uscita. Dall'altra la mancanza di una grande idea alternativa, che possiamo far risalire alla sconfitta del socialismo, da cui la sinistra ancora non si è ripresa, nè in Spagna, nè altrove, taglia le gambe a qualsiasi speranza di un mondo diverso. Ed infine, dato importante e forse decisivo, bisogna ricordare che anche in periodi di crisi una larga parte della popolazione ha ancora qualcosa da perdere, casa, risparmi, beni materiali, e che è quindi più preoccupata a salvare quello che ancora ha invece che lottare per riconquistare quello che ha perso.



Nonostante la disoccupazione di massa, gli sfratti e i tagli, contestazioni e disordini sono ancora isolati. La paura di perdere il benessere residuo è più forte della rabbia.
da Infolibre

Siamo nel quinto anno della crisi. La disoccupazione, la povertà e l’esclusione sociale aumentano; si registrano i primi casi di malnutrizione infantile; decine di famiglie sono state sfrattate dalle loro case; i salari continuano a scendere ma lo stesso non accade ai prezzi dei beni e dei servizi. La gente ha capito che la tempesta non è passeggera e potrebbe durare ancora per anni. Perché la società non si ribella? Perché il sistema non salta per aria? Quanto può reggere la Spagna prima che esploda la rivolta?
È difficile pensare a un concorso di cause più favorevole a una detonazione sociale. In primo luogo, gli effetti della crisi sono devastanti. Come fa a sopravvivere un paese con sei milioni di disoccupati? La cosa peggiore è che la disoccupazione continua ad aumentare, e la domanda interna crolla vertiginosamente. I risparmi e gli aiuti che hanno permesso a molti di tirare avanti stanno cominciano a esaurirsi. Tra coloro che hanno un lavoro, molti percepiscono uno stipendio di sussistenza nell’economia sommersa.
In secondo luogo le inclementi politiche di austerity imposte alla Spagna e all’Unione europea servono solo a dissanguare il paese e allontanare la ripresa. Anziché investire per bilanciare il calo della domanda, il governo sta tagliando tutte le voci di spesa dall’amministrazione. In questo modo non soltanto si aggrava la crisi, ma si compromette la copertura sociale per le persone colpite dalla disoccupazione e dalla povertà. Sembra che il governo e l’Ue abbiano stabilito che l’uscita dalla crisi deve passare per l’impoverimento generale della maggioranza degli spagnoli. Il significato di “svalutazione interna” è precisamente questo.
In terzo luogo è cresciuta la percezione di una divisione dei sacrifici enormemente iniqua. Il caso più clamoroso, ma non certo l’unico, è quello degli sfratti. Lo stato stanzia importanti aiuti e si indebita fino al collo per salvare le banche, ma non fa nulla per porre fine al dramma di coloro che non riescono a pagare il mutuo. L’insensibilità dei poteri pubblici e dei grandi partiti davanti a questa tragedia ha contribuito ad alimentare l’indignazione di buona parte della popolazione.
In quarto luogo, come accade spesso in momenti come questo, la speranza viene meno. Nonostante la propaganda del governo e la promessa di una ripresa imminente, la gente ha capito che stiamo attraversando una fase duratura di stanca, e dunque ci attendono anni difficili.
Infine siamo penalizzati da un governo inefficace e composto da partiti corrotti. Sembra incredibile, ma in uno scenario così doloroso abbiamo un presidente del governo che è ricattato per il finanziamento illecito del partito che dirige.
Nonostante tutte le calamità che ho appena enumerato, però, la gente ancora non si ribella. Che sta succedendo?
Da una parte, ormai non ci sono più alternative. Oggi non esiste un’ideologia in grado di proporre un cammino alternativo a quello attuale o di organizzare una resistenza collettiva. La popolazione si lascia dominare dalla rabbia, che si traduce nell’alienazione e nel rifiuto del sistema economico e politico ma non si cristallizza in un movimento che possa rappresentare una minaccia collettiva.

La soglia argentina

Inoltre, nonostante l’impoverimento generalizzato, la Spagna mantiene un livello di sviluppo considerevole, e sappiamo che le democrazie sviluppate sono straordinariamente stabili e possono sopportare quasi tutto. In questo senso c’è un dato storico molto significativo: non è mai successo che una democrazia con un pil pro capite inferiore a quello dell’Argentina del 1976 sia collassata.
La Spagna ha un pil pro capite molto superiore a quella soglia, nonostante la crisi degli ultimi anni. Per questo motivo è prevedibile che ci siano episodi violenti e tensioni, ma non una rivolta generalizzata. Ciò accade in parte perché lo stato è molto potente e può facilmente reprimere la protesta, e in parte perché ci sono molte famiglie proprietarie di immobili o attive in borsa che non sono disposte a rischiare il loro futuro in avventure dal risultato incerto. Lo sviluppo porta con sé un alto livello di conservatorismo politico in tutti i settori della società.
Il sintomo più chiaro del fatto che la gente, per quanto esasperata, non intende correre rischi, è l’assenza di un dibattito pubblico in Spagna sull’opportunità di restare all’interno dell’eurozona. Nonostante l’unione monetaria si sia rivelata una trappola per topi, quasi nessuno è pronto ad accettare le conseguenze a breve termine di un’uscita dall’euro. Intanto la gente continua a indirizzare le proprie lamentele contro i partiti e le istituzioni spagnole nonostante il problema risieda più in alto, nelle leggi che regolano il funzionamento dell’euro e nelle politiche decise dai paesi del nord.
Certo, l’opinione che il popolo ha delle istituzioni europee è crollata, ma non ci sono state conseguenze. L’appoggio nei confronti dell’euro è netto e costante, e fino a quando resterà tale non ci sarà alcuna rivolta. E alla fine continueremo a sopportare una situazione che comunque la si consideri resta intollerabile.
(tradotto per pressurop da Andrea Saracino)

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