domenica 3 febbraio 2013

La Corte dell'Efta da' ragione all'Islanda



di Nicola Melloni
da Liberazione

La sentenza dell’Efta (European Free Trade Association) di qualche giorno fa è un evento di primaria importanza che pare, almeno per ora, molto sottovalutato dai media italiani.
I fatti, prima di tutto: all’insorgere della crisi finanziaria, cinque anni fa, il primo paese a essere travolto fu l’Islanda il cui settore bancario, estremamente liberalizzato, aveva preso rischi fortissimi indebitandosi con l’estero, ed in particolare raccogliendo ingenti quantitativi di denaro con depositi per stranieri, soprattutto inglesi ed olandesi. Con il fallimento di pressoché tutte le banche, e, nel caso specifico, della Icesave, i depositi dei cittadini stranieri non furono protetti dal governo islandese (quelli degli islandesi invece sì) e dunque, per evitare problemi ulteriori, i governi di Londra ed Amsterdam decisero di ripagare le perdite incorse dai propri cittadini in Islanda, salvo poi rifarsi sul governo di Reikiavik per venire rimborsati. E, di fronte al rifiuto, per altro confermato per ben due volte da un referendum, portarono il governo Islandese di fronte alla corte dell’Efta che si occupa dei casi riguardanti l’Area Economica Europea (e non la Ue, di cui l’Islanda non è membro).

Il tribunale ha, tuttavia, dato ragione all’Islanda. I giudici hanno sentenziato che esiste sì un obbligo per ogni paese di mettere in piedi un sistema di garanzia dei depositi, ma in caso di eventi sistemici, come appunto la crisi finanziaria, non ci si può aspettare un'ottemperanza totale, soprattutto quando questa mette a repentaglio il corretto funzionamento del resto dell’economia.
Il punto è ovviamente controverso. Una garanzia statale sui depositi fa dormire sonni tranquilli ai risparmiatori, compresi, ad esempio, quelli di Mps. In pratica, anche se la banca fallisce, il governo protegge i conti bancari, evitando dunque ondate di panico e l’impoverimento dei cittadini coinvolti inconsapevolmente nelle disavventure della banca. Questo può sembrare ragionevole, se non fosse che, nel caso specifico, una compensazione delle perdite dei risparmiatori olandesi ed inglesi sarebbe costata oltre 12.500 euro per cittadino islandese. Il problema non era però la pretesa di due stati ricchi di rifarsi su un paese piccolo e debole, quanto piuttosto che questa pretesa seguiva un (supposto) dettato di legge che, per l’Ue, non garantisce i ricchi contro i poveri, ma più semplicemente difende il risparmio dei cittadini.

Tale situazione ci pone davanti ad un dilemma: se da un lato può sembrare giusto che non siano i risparmiatori a pagare per le colpe delle banche, dall’altro non pare neppure equo che l’intera collettività debba pagare conti salatissimi per le perdite di un gruppo particolare.

Al centro del problema, naturalmente, è la natura stessa del sistema bancario. Praticamente, tutti gli stati del mondo hanno un sistema di garanzia del risparmio (e la sentenza ha riaffermato che è indispensabile che questo esista), ma normalmente queste riserve ammontano più o meno all’1% del totale dei depositi. Quello che manca dovrebbe esser tirato fuori dallo Stato stesso, costretto dunque a pagare per il fallimento di una azienda privata (la banca) onde evitare le disastrose conseguenze economiche e sociali della perdita del risparmio privato. Nello stesso tempo, la difesa del risparmio diventa pure l’ennesima forma di protezione per il sistema bancario. Dati i costi esorbitanti per far fronte al fallimento delle banche, lo Stato è ulteriormente incentivato a salvare banche incapaci prima che esse falliscano.
La sentenza dell’Efta riporta dunque al centro del dibattito il ruolo economico, sociale e politico delle banche. Un tema finora accuratamente ignorato, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, che viene regolato dalle corti di giustizia invece che dai Parlamenti dei paesi coinvolti. Una politica miope che, rifiutandosi di svolgere i suoi compiti, scarica il barile senza neanche rendersi conto di creare le condizioni per altre ed ancora più gravi crisi.


fonte: http://liberazione.it/news-file/La-Corte-dell-Efta-d--ragione-all-Islanda.htm


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