venerdì 25 gennaio 2013

Il pasticciaccio brutto di Mps

di Nicola Melloni

da Liberazione

Ma non raccontavano che il sistema bancario itliano era sano?

L’affaire Mps, al di là delle strumentalizzazioni politiche, ci ricorda che la crisi finanziaria non è ancora finita e, soprattutto, che le radici di quella crisi sono state tutt’altro che estirpate. A questo si aggiungono le classiche peculiarità del nostro sistema produttivo in cui un rapporto molto meno che limpido tra economia e politica rende tutto più complicato. Non è un caso che si assista in queste ore ad un fuoco incrociato sul Pd, additato più o meno giustamente come il referente politico del Monte dei Paschi.
Giochi politici che segnalano però un problema reale della nostra economia. Non a caso Monti ha immediatamente richiesto a gran voce una governance di tipo diverso nel nostro sistema finanziario e ha attaccato duramente il ruolo svolto dalle fondazioni che, dopo le privatizzazioni, ha mantenuto sostanzialmente intatto il controllo politico su molte grandi banche, a cominciare appunto da Mps. Il tutto viene aggravato dai soliti pasticci italiani, col rischio di aprire un serio conflitto istituzionale tra Tesoro e Banca d’Italia, con la seconda responsabile per il controllo bancario e il primo che dovrebbe supervisionare le fondazioni che ora si scambiano accuse incrociate su chi avrebbe dovuto vigilare sul caso Monte dei Paschi.
Sarebbe però fuorviante credere che sia la politica la protagonista assoluta di questo ennesimo scandalo. La politica ha delle grosse responsabilità, non ci sono dubbi, ma i problemi di Mps vanno ricercati nella struttura del sistema finanziario. Lo scandalo attuale, infatti, non è altro che il frutto avvelenato di quella logica speculativa che ha messo a terra tante banche americane ed inglesi (e non solo) nel 2007-08 e da cui, ci avevano raccontato, il nostro sistema finanziario sarebbe stato immune.
E’ ora evidente che non è questo il caso. Nel grande risiko bancario europeo che aveva preceduto di pochi mesi lo scoppio della bolla finanziaria, Mps, insieme ad altre banche ed entità finanziarie italiane, era stata protagonista. Un processo di fusioni ed acquisizioni che non aveva nessuna logica industriale se non quella di concentrare il capitale ed accumulare munizioni nella guerra per il predominio finanziario. Un processo in cui molte banche hanno fatto il passo più lungo della gamba, indebitandosi enormemente e rimanendo così inermi sul mercato una volta che la bolla scoppiò.
Nel caso di Mps la cosa fu anche peggiore, in quanto l’acquisto di Abm Amro fu fatto a prezzi scandalosamente gonfiati, il 50% della valutazione data dal mercato solo pochi mesi prima. Da quell’errore iniziale ne sono poi discesi altri, a cascata. Incluso un quantomeno disinvolto ricorso ai famigerati derivati con buchi spaventosi che si aprivano nelle finanze del Monte, poi coperti con altre operazioni finanziarie che nascondevano le passività presenti per ritrovarsele poi, moltiplicate, nel medio periodo. Aggiungiamoci una gestione di tutto l’affare che, se confermata, sarebbe criminale (Consiglio d’Amministrazione, Banca d’Italia e revisori dei conti tenuti all’oscuro dei vari artifizi finanziari) ed ecco che ci ritroviamo davanti a uno scandalo di proporzioni enormi.
Ma, come dicevamo, non certo un caso unico e non certo un caso prettamente italiano. Di operazioni spericolate, di acquisizioni rischiose, di ricorso massiccio ai derivati è piena la storia di questi ultimi anni. Il problema semmai, lo sappiamo, è nella struttura di incentivi che danno mercato e regole esistenti. Regole non cambiate, lo vediamo bene ora, con Mps che attraverso il ricorso ai Monti Bond verrà salvata dallo Stato, confermando il ruolo predominante delle banche, tuttora "too big to fail" anche a cinque anni dallo scoppio della crisi dei subprime.
In tutto questo non vogliamo certo sottovalutare le colpe della politica. Ma le colpe non vanno cercate sulle singole azioni e nemmeno, più di tanto, sul mancato controllo. Il punto è invece la funzione di indirizzo che manca completamente, con una politica che non deve certo gestire le banche ma dovrebbe essere in grado di selezionare un percorso virtuoso, incentivando un modello di sviluppo bancario ben diverso da quello attuale, slegato dalla speculazione e dalla creazione di denaro attraverso il "leverage", e più legato al territorio e alle attività produttive. Al contrario la politica è rimasta succube del mercato, assecondando un ricorso sistematico al debito, affascinata dalle bolle di sapone della finanza anglosassone. Il centro della questione non è dunque troppa politica che inquina il mercato, ma troppa poca buona politica a controllare un mercato inefficiente.


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