mercoledì 5 dicembre 2012

Polillo deve dimettersi - cambiare #sipuò

Non se ne può davvero più di questo governo. Un governo che, secondo certa stampa (leggi Repubblica) è abbonato alle gaffes, che manco quello di Berlusconi. Peccato che a quel governo non gliene lasciassero passare una, mentre ora si può prenderla sul ridere.
La realtà, secondo me, è un'altra. Una strategia politica e soprattutto un modo di pensare tipico di una certa classe sociale italiana, quella dei ricchi borghesi che guardano tutti gli altri con disprezzo, senza mai un minimo di auto-critica.
Ieri Polillo, uno dei recordmen in fatto di assurdità detta in questo governo (certo non il numero uno, quello tocca sempre a Madam Fornero che normalmente non pensa a quel che dice), ha insultato i lavoratori italiani:



Secondo Polillo gli italiani non lavorano, troppo pigri, immaginiamo. Mangiapane a tradimento che rubano il salario a imprenditori illuminati e politici integerrimi. Ci sorprendiamo? Trattasi solo dell'ultimo di una lunga fila di complimenti, come quelli fatti da Martone agli studenti fuori corso, o dalla solita Fornero ai disoccupati e poi ai giovani. Un disprezzo di stampo quasi Ottocentesco per il lavoro, per i più deboli, per gli emarginati.
Cornuti e mazziati mentre i prepotenti al governo che stanno trascinando l'Italia nel baratro non hanno nemmeno  quel minimo senso del pudore di pensare alle dimissioni. Mentre non risulta che dal PD o da Bersani - che si propongono, a parole, a favore dei lavoratori - sia scattata nessuna richiesta di dimissioni. E allora le chiediamo noi. Polillo, vattene!
Cambiamo pagina prima che sia troppo tardi: cambiare #sipuò




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Il fiscal cliff, il debito e la lotta di classe

da Ombre Rosse

di Nicola Melloni

L’America di Obama si appresta ad affrontare una battaglia politica che determinerà il futuro della sua presidenza. Nell’estate del 2011, dopo che S&P aveva declassato il debito americano, Democratici e Repubblicani cominciarono a discutere su come rimettere in sesto i conti macroeconomici, senza però arrivare ad alcuna soluzione. Si era dunque rimandato tutto a gennaio 2013 con dei provvedimenti di legge automatici che, in caso di un altro mancato accordo, avrebbero contemporaneamente alzato le tasse (o meglio, fatto scadere le esenzioni risalenti all’epoca di Bush) e tagliato le spese dello Stato. L’impatto si quantifica tra i 600 e gli 800 miliardi di dollari, una misura tale da poter essere all’incirca paragonata ai provvedimenti di austerity europei e che se applicata riporterebbe l’economia americana in recessione.
Di fronte a questo scenario da incubo Democratici e Repubblicani devono cercare un accordo per uscire da questa trappola. Entrambi i partiti concordano che una stretta fiscale è necessaria anche se divergono su come trovare le risorse necessarie. Intanto le agenzie di rating sono già in agguato, con Moody’s pronta a declassare gli Usa in caso non siano prese misure adeguate per rimettere in ordine i conti. La stessa logica della trojka che ben conosciamo in Europa.
Una logica assurda e controproducente. Come dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, il debito americano non è a rischio ed infatti dopo il primo declassamento del 2011 gli interessi sui bond americani scesero, invece di salire. D’altronde non si capisce davvero quale frenesia e quali rischi ci siano riguardo al debito di Washington. Gli Stati Uniti, come qualsiasi altro Stato sovrano, non possono fallire a meno che non lo vogliano. Gli Stati creano moneta e la Fed può stampare dollari per coprire tutte le obbligazioni di Washington, né per altro fino ad ora è parsa timida in questo senso con continui ricorsi ai cosiddetti quantitative easing e a credito immediato per ricapitalizzare le banche.
Non ci sono dubbi che nel medio-periodo il debito pubblico debba essere ripagato, ma non è certo durante i periodi di congiuntura sfavorevole – quando non proprio di crisi e recessione, come in Europa – che si effettuano risparmi. Anzi. Nei primi quattro anni di Obama gli Stati Uniti sono cresciuti più velocemente dell’area Euro sostanzialmente per le politiche macro-economiche anticicliche messe in atto dalla Casa Bianca. Semmai si potrebbe contestare che lo stimolo fiscale non è stato abbastanza ampio, non certo che ci sono state troppe spese.  Con i mercati in crisi e le imprese private poco disposte ad investire è stata proprio la spesa pubblica a mantenere alti i consumi (ad esempio con i fondi aggiuntivi per i disoccupati) e i profitti (con gli investimenti pubblici nella scuola, nell’energia, nell’educazione ed anche nell’industria).
Queste spese, nel tempo, possono essere ridotte, ma solo quando il ciclo economico sarà finalmente stabilizzato, la crescita sarà stabile e sostenuta, la disoccupazione in calo.  E dunque quello che Democratici e Repubblicani dovrebbero fare è istituire delle misure per ridurre le spese ed aumentare le tasse solo quando l’economia sarà finalmente sul giusto binario.
Questo difficilmente succederà perché in realtà dietro al fiscal cliff si combatte una battaglia decisiva per i futuri assetti economici americani. I Repubblicani vogliono tagli su tagli, soprattutto ai servizi sociali e vogliono il depotenziamento del sistema sanitario per lasciare tutto nelle mani di Wall Street. Allo stesso tempo pretendono che le tasse, soprattutto quelle per i ricchi e per le imprese, rimangano basse. Solo tasse basse per l’1% più ricco, dicono, possono garantire investimenti e dunque crescita. Anche se, storicamente, non esiste nessuna evidenza in tal senso. Mentre esistono montagne di dati che confermano che più le tasse per i ricchi si sono abbassate, più è aumentata la diseguaglianza sociale.
L’unico dato economico che dovrebbe veramente far preoccupare e riflettere è il rapporto tra entrate fiscali e Pil che in America è più basso che in qualsiasi altro paese sviluppato – appena il 18% contro una media del 30%. Inevitabile dunque che la prima misura per ridurre il debito sia andare a prendere i soldi dove ci sono – tra i ricchi e non certo tra i disoccupati.
L’altro dato da considerare è, naturalmente, la spesa militare. Il budget per la difesa in Usa è molto più alto ora che durante la Guerra Fredda ed è circa pari alle spese di tutti gli altri Stati messi insieme (Cina+Russia+UK, etc..). Nei prossimi dieci anni i tagli fiscali di Bush e le spese della difesa, incluse quelle per le guerre di Bush, ammonteranno a circa il 50% del debito americano. Ed i Repubblicani, ovviamente, sono strenuamente schierati a difesa del complesso militar-industriale.
Obama deve dimostrare coraggio, anche con un Congresso ostile. I tagli fiscali devono essere possibilmente reintrodotti solo per la middle class (i più poveri erano già esenti), sfidando i Repubblicani a votare contro un provvedimento che abbassi le tasse, seppur solo per il ceto medio. E deve difendere strenuamente la spesa pubblica, soprattutto quella sociale. I Repubblicani (ed una parte dei Democratici) sono semplicemente la longa manu degli interessi di Wall Street e dell’oligarchia industrial-finanziaria che sta proletarizzando la classe media ed impoverendo l’intero paese. Ma l’America, nelle recenti elezioni, ha votato contro questi interessi ed è giunta l’ora di far finalmente sentire anche la voce di questa maggioranza di americani.

fonte: http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2012/11/24/28639-finestra-internazionale-il-fiscal-cliff-il-debito-e-la/

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