martedì 27 marzo 2012

La logica del ricatto

Monti-Mosè è tornato con le tavole della legge (sul lavoro) e ha trovato un popolo di somari che non lo segue. Peccatori come gli ebrei di un tempo, sembrano aver spazientito il pastore che li porta fuori dall'Egitto, pardon, dalla crisi finanziaria.
Il giorno prima aveva mandato alla carica il suo panzer, lady Fornero, la versione feroce e destrorsa di Sacconi. Niente riforma a polpette (a parte quelle avvelenate per i lavoratori), se la riforma sarà stravolta, il governo ne trarrà le conseguenze. E ieri invece è stato Monti a mettere il carico, se il Paese non è pronto, allora il governo lascerà. Ma pronto per cosa? Per una "riforma" che non è giustificata da nessuno studio serio? Per una regressione di 40 anni nei diritti dei lavoratori? Per una dialettica politica che vada oltre alle decisioni prese in un palazzo ma che sia la rappresentazione di quello che il popolo vuole?
Monti&Fornero si erano abituati bene, la stangata sulle pensioni, inutile e punitiva, era passata a tamburo battente, lo spread era alto e Mosè doveva aprire le acque del Mar Rosso.  Ora si pretende un anno e mezzo (almeno) di democrazia limitata. E si svela finalmente l'inganno del governo legittimo perchè votato dal Parlamento. No, il governo è stato imposto al Parlamento in nome dell'emergenza. E non può esistere dialettica, o si fa come dice il Messia o tutti a casa - naturalmente paventando ritorsioni finanziarie degne delle dieci piaghe d'Egitto. Un governo senza mandato elettorale, un assurdo politico, si permette di spiegare al paese che se non è pronto, allora addio, una sorta di ricatto bis dopo quello della paccata dei miliardi di Fornero.
Ebbene, in una vera democrazia, quando uno degli architravi di una coalizione dice di voler modificare un provvedimento, e la risposta del governo è un ricatto, se ne devono trarre le conseguenze. No, il paese non è pronto per la dittatura dello spread, non è pronto per gli editti coreani, e il governo Monti se ne deve andare.  


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