venerdì 30 dicembre 2011

La libertà di stampa è un bene comune, salviamola!

La libertà di stampa in Italia è sotto attacco. Lo è stata per due decenni con i governi di Berlusconi, lo è anche oggi che quell’era sembra finita. L'ultimo rapporto di Freedom House cataloga l’Italia come "parzialmente libera" in quanto a libertà di stampa, 75esimi insieme alla Namibia su 196 Paesi presi in considerazione. L'anno scorso eravamo 72esimi.

La libertà di informazione è un bene comune, indispensabile per la difesa della nostra democrazia. E libertà d’informazione vuol dire possibilità di ascoltare più voci, non solo quelle di chi ha il capitale per pubblicare un giornale. Un argomento che non sembra interessare il nuovo governo. L’ennesima finanziaria di quest’anno riorganizza, di fatto cancellando, il fondo per l’editoria. Una sentenza di morte per la maggior parte dei giornali italiani che, anche in virtù di una situazione di monopolio nella raccolta pubblicitaria, non possono sopravvivere senza il contributo pubblico. La libertà di informazione è affidata in toto al mercato, un mercato oligopolistico dominato dai grandi gruppi.

Questi tagli hanno già prodotto una prima vittima, Liberazione, che dal primo Gennaio sospenderà le pubblicazioni. Non bisogna essere comunisti per difendere il diritto ad esistere di Liberazione. Ogni buon liberale dovrebbe far suo il motto di Voltaire: “non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinchè tu possa esprimerle.”

La crisi economica viene usata come grimaldello per scassinare la democrazia. Il 2011 era iniziato con il ricatto di Marchionne, lavoro in cambio di diritti. Ora Monti taglia la libertà di informazione in nome dei conti pubblici. In fondo, parafrasando Tremonti, si potrebbe dire che la libertà non si mangia. Niente di più sbagliato. Meno libertà significa più povertà. Per questo diciamo no ai tagli al fondo per l’editoria.
Non si taglia la libertà di stampa, non si mercifica la democrazia.

P.S.: Abbiamo posto come esempio "Liberazione" perché è stato il primo quotidiano ad annunciare la chiusura, il prossimo 31 dicembre, esplicitamente a causa dei tagli all'editoria previsti dal precedente governo e confermati da quello attuale. Non dimentichiamo tuttavia che sono ben un centinaio le testate destinate quasi sicuramente a non sopravvivere all'attuazione di questi tagli; a grosso rischio anche altri quotidiani storici, non solo vicini al sentire di sinistra come "Il Manifesto" o "L'Unità", ma anche "Il Secolo d'Italia" o "La Padania", solo per citare i più noti.
E' proprio la pluralità di pensiero a diventare particolarmente scomoda quando la democrazia fa acqua.

Per firmare questo appello potete scrivere a resistenza.internazionale@gmail.com oppure lasciare la vostra firma nei commenti, che poi verrà aggiunta alla lista.


Nicola Melloni, Londra
Monica Bedana, Salamanca
Simone Giovetti, Parigi
Genny Carraro, Dublino
Silvia Lanconelli, Bologna
Enrico Bricarello, Torino
Serena Maini, Bologna
Pietro Roversi, Oxford
Simone Rossi, Londra
Manuel Antorán, Saragozza
Felipe Cordobés, Siviglia
Lorenza Raminella, Rovigo
Nicoletta Occelli, Sanremo
Francesca Congiu, Londra
Graziella Sanvitale, Venezia
Silvia Fabbri, Londra
Riccardo Zanaroli, Bologna
Andrea Brunelli, Barcellona
Margherita Melloni, Buenos Aires
Francesco Maiani, Milano
Stefano Mersi, Ginevra
Arianna Morelli, Bologna
Giorgia Battistello, Londra
Katy Paillet, Aosta
Remy Machet, Aosta
Gianluca Gualducci, Bologna
Stefano Valle, Trento
Alessandro Volpi, Madrid
Eleonora Lapi, Londra
Eleonora Brunello, Padova
Elettra Fiocchi, Padova
Irene Zampieron, Ginevra
Claudia Marfella, Milano
Gigliola Sulis, Leeds
Giandomenico Iannetti, Londra
Mauro Pirini, Bologna
Stefano Veneroso, Bologna
Francesca Uras, Bruxelles
Emanuela Patti, Londra
Davide Casale, Bologna
Laura Andrazi, Bologna
Roberto Fenu, Haywards Heath, GB
Filippo Fanò Illic, Barcelona
Max Saltarini, Udine
Gaetano Ciaravella, Seoul, Corea del Sud
Salvatore Vinci
Maurizio Bighignoli, Verona
Rita Lo Vecchio, Spresiano, (TV)
Marco Maggiori, Padova
Orlando Vincenzo, Curno
GianCarlo Poddine, Savona
Angela Marchesi, Voghera
Alda Gazzola
Francesca Fondi, Firenze
Valentina Malaguti,Bologna
Mario Guerriero, Avellino
Mauro Pirini, Bologna
Marco Donà, Marghera (Ve)
Maria (che ha firmato senza cognome)
Nadia Moro, Spresiano, (TV)
Alan Fedato, Milano
Robertino Barbieri, Asciano Pisano (Pi)
Luciano Zenarolla
Ornella Bosco













Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete

Eurocentrismo delle lacrime
Di Nicola Melloni

I giornali occidentali e tra questi in prima fila quelli italiani hanno dato l’ennesima prova di qualunquismo
in occasione della morte di Kim Jong Il, il dittatore Nord coreano. Della Corea del Nord si sa poco, ma non
così poco da giustificare la crassa ignoranza dei nostri media – ignoranza che spesso viene usata come
giustificazione per fare propaganda da bassa macelleria.

Bruce Cummings, uno dei massimi esperti viventi di Corea, aveva già criticato veementemente sulla London
Review of Books di qualche tempo fa (http://www.lrb.co.uk/v27/n24/bruce-cumings/we-look-at-it-and-
see-ourselves) il pressapochismo e la mancanza di analisi serie sul regime di Pyongyang. La situazione non
sembra esser cambiata negli ultimi anni.

Quasi tutte le testate giornalistiche hanno usato la morte di Kim per farsi beffe di un paese intero e del suo
popolo. I pianti isterici dei nordocoreani son stati invariabilmente descritti attraverso due parallele linee
esplicative:

-Il regime costringe la popolazione a manifestazioni pubbliche di contrizione e lutto;
e/o il regime ha creato una cappa culturale insostenibile ed i cittadini son talmente instupiditi da
piangere un dittatore.

- Il sottinteso è che scene di questo genere, nei paesi occidentali, non succedono. I giornalisti ridono beffardi
delle lacrime della gente per quello che viene definito “l’imperatore rosso” (copyright la Repubblica, 29-12-
2011). Ci sarebbe molto da dire sulla reale ideologia nord-coreana, ma Cummings lo fa già brillantemente
nel suo pezzo. Né ho intenzione di difendere o giustificare un regime dittatoriale e che ha clamorosamente
fallito portando una nazione moderatamente sviluppata – fino a 40 anni fa più ricca della Corea del Sud –
nella miseria nera.

Quel che qui importa è la supponenza di certa stampa. Nulla si sa della cultura confuciana e delle tradizioni
dell’Asia, ma le lacrime bastano per dare giudizi impietosi sul sottosviluppo culturale e sull’atmosfera da
grande fratello (orwelliano!!!) che si respira a Pyongyang.

Peccato che le stesse considerazioni si possano tranquillamente estendere ad altri esempi che poco hanno
a che fare con la dittatura comunista. Ai funerali di Giovanni Paolo II hanno partecipato decine di migliaia
di persone e centinaia di migliaia hanno pregato in tutto il mondo per la sua anima. Si dirà, normale per un
leader spirituale – anche se naturalmente nel confucianesimo la differenza tra leader politici e spirituali è
assai sottile.

Nel 2003 diecimila persone hanno partecipato ai funerali di Giovanni Agnelli, ed altre svariate migliaia sono
sfilate nella camera ardente, ed un numero simile ha reso omaggio a Mike Buongiorno. Pure peggio andò
con la morte di Lady Diana, che scatenò una isteria di massa durata per giorni e giorni nel Regno Unito. Sia
chiaro, non c’è nessuna intenzione di mettere sullo stesso piano il papa polacco, Agnelli e Kim Jong Il. Ma
vale la pena di capire come mai, agli occhi di certa stampa, esistono lutti di serie A e di serie B. E soprattutto
di capire perché decine di migliaia di persone si sentano coinvolte in un fatto estremamente privato – ed è
sicuramente più privata la morte di un industriale in pensione che non di un presidente in carica!

Nel caso coreano si dà per scontato il lavaggio del cervello. Siamo sicuri che non sia lo stesso anche dalle
nostre parti?

Se ti è piaciuto questo post, clicca sul simbolo della moschina che trovi qui sotto per farlo conoscere alla rete grazie al portale Tze-tze, notizie dalla rete