lunedì 3 ottobre 2011

Non solo bavaglio
Di Monica Bedana

Dopo il settembre meteorologicamente più caldo che si ricordi da decenni, l'autunno in Italia pare arrivare solo per la libertà di espressione e per l'editoria. L'ultimo rapporto di Freedon House ci cataloga di nuovo come "parzialmente liberi" in quanto libertà di stampa, 75esimi insieme alla Namibia su 196 Paesi presi in considerazione. L'anno scorso eravamo 72esimi. E non è più solo una questione di limitare attraverso varie forme di censura la possibilità di esprimersi, bensí di falciarla alla radice tagliando ulteriormente i fondi per l'editoria, che in tre anni sono passati da 650 milioni a 194. E che con la cancellazione del "diritto soggettivo" previsto dall'ultima Finanziaria (cioè di ciò che fino ad ora era il diritto stabilito per legge a ricevere i contributi all'editoria), rischiano di scendere a meno di 90, condannando a morte i giornali no-profit, le testate politiche, quelle delle cooperative di giornalisti, ma anche una parte di giornali locali o quelli delle minoranze linguistiche o religiose. Non più contributi distribuiti in uguaglianza democratica bensí a discrezione del Governo.
Nell'incertezza del futuro, in alcuni casi le banche hanno già chiuso il rubinetto dei prestiti e dei fidi su cui si pianificano i bilanci dei giornali. Il pluralismo viene spazzato via dalla discriminazione in nome della riforma economica.

Secondo Mediacoop a causa dei tagli all'editoria 4000 persone perderanno il lavoro e nel tentativo di risparmiare 80 milioni di euro se ne spenderanno 100 in amortizzatori sociali, mentre altri 500 di PIL verranno gettati alle ortiche. Mezzo milione di copie di giornali smetteranno di essere vendute in un Paese che già legge pochissimo.In pratica, solo la stampa sorretta da grandi lobbies economiche si potrà esprimere in libertà.

Nemmeno in rete la situazione è rosea. Il rapporto Freedom House on the Net del 2009/2010, che analizza la situazione di 37 Paesi basandosi su censura, violazioni dei diritti degli utenti e possibilità di accedere al web da parte di tutti i cittadini, classifica l'Italia tra i Paesi liberi perché internet raggiunge il 50% circa della popolazione, i social networks non sono bloccati, nessun utente è stato (finora) arrestato per le opinioni espresse online. Tuttavia, dice il rapporto, negli ultimi anni il Governo italiano ha introdotto diversi decreti che pongono gravi sfide alla libertà di espressione onlinela spinta a limitare la libertà di Internet deriva in parte dalla struttura della proprietà dei media in Italia. Il primo ministro Silvio Berlusconi detiene, direttamente o indirettamente, un grande conglomerato privato di mezzi di comunicazione e la sua posizione politica gli dà una notevole influenza sulla nomina dei funzionari della televisione di Stato. Tale dominio finanziario ed editoriale dei media può costituire un incentivo a limitare la libera circolazione di informazioni online. 
Ecco infatti che si ripropone la legge bavaglio, con l'approvazione della quale anche ai contenuti di questo blog potrebbe essere richiesta una rettifica entro 48 ore ed imposta una multa, in caso di mancata rettifica, fino a 12.000 euro. Qui sotto il testo diffuso da Valigia Blu , alla cui iniziativa aderiamo, che spiega perché bisogna dire "no".

Cosa prevede il comma 29 del ddl di riforma delle intercettazioni, sinteticamente definito comma ammazzablog?
Il comma 29 estende l’istituto della rettifica, previsto dalla legge sulla stampa, a tutti i “siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica”, e quindi potenzialmente a tutta la rete, fermo restando la necessità di chiarire meglio cosa si deve intendere per “sito” in sede di attuazione.

Cosa è la rettifica?
La rettifica è un istituto previsto per i giornali e le televisione, introdotto al fine di difendere i cittadini dallo strapotere di questi media e bilanciare le posizioni in gioco, in quanto nell’ipotesi di pubblicazione di immagini o di notizie in qualche modo ritenute dai cittadini lesive della loro dignità o contrarie a verità, questi potrebbero avere non poche difficoltà nell’ottenere la “correzione” di quelle notizie. La rettifica, quindi, obbliga i responsabili dei giornali a pubblicare gratuitamente le correzioni dei soggetti che si ritengono lesi.

Quali sono i termini per la pubblicazione della rettifica, e quali le conseguenze in caso di non pubblicazione?
La norma prevede che la rettifica vada pubblicata entro due giorni dalla richiesta (non dalla ricezione), e la richiesta può essere inviata con qualsiasi mezzo, anche una semplice mail. La pubblicazione deve avvenire con “le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”, ma ad essa non possono essere aggiunti commenti. Nel caso di mancata pubblicazione nei termini scatta una sanzione fino a 12.500 euro. Il gestore del sito non può giustificare la mancata pubblicazione sostenendo di essere stato in vacanza o lontano dal blog per più di due giorni, non sono infatti previste esimenti per la mancata pubblicazione, al massimo si potrà impugnare la multa dinanzi ad un giudice dovendo però dimostrare la sussistenza di una situazione sopravvenuta non imputabile al gestore del sito.

Se io scrivo sul mio blog “Tizio è un ladro”, sono soggetto a rettifica anche se ho documentato il fatto, ad esempio con una sentenza di condanna per furto?
La rettifica prevista per i siti informatici è quella della legge sulla stampa, per la quale sono soggetti a rettifica tutte le informazioni, atti, pensieri ed affermazioni ritenute dai soggetti citati nella notizia “lesivi della loro dignità o contrari a verità”. Ciò vuol dire che il giudizio sulla assoggettabilità delle informazioni alla rettifica è esclusivamente demandato alla persona citata nella notizia, è quindi un criterio puramente soggettivo, ed è del tutto indifferente alla veridicità o meno della notizia pubblicata.

Posso chiedere la rettifica per notizie pubblicate da un sito che ritengo palesemente false?
E’ possibile chiedere la rettifica solo per le notizie riguardanti la propria persona, non per fatti riguardanti altri.

Chi è il soggetto obbligato a pubblicare la rettifica?
La rettifica nasce in relazione alla stampa o ai telegiornali, per i quali esiste sempre un direttore responsabile. Per i siti informatici non esiste una figura canonizzata di responsabile, per cui allo stato non è dato sapere chi sarà il soggetto obbligato alla rettifica. Si può ipotizzare che l’obbligo sia a carico del gestore del blog, o più probabilmente che debba stabilirsi caso per caso.

Sono soggetti a rettifica anche i commenti?
Un commento non è tecnicamente un sito informatico, inoltre il commento è opera di un terzo rispetto all’estensore della notizia, per cui sorgerebbe anche il problema della possibilità di comunicare col commentatore. A meno di non voler assoggettare il gestore del sito ad una responsabilità oggettiva relativamente a scritti altrui, probabilmente il commento (e contenuti similari) non dovrebbe essere soggetto a rettifica.

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La "moderna" dittatura del capitale
Di Nicola Melloni da "Liberazione", 01/10/2011

La lettera inviata al governo italiano da Trichet e Draghi contribuisce a far chiarezza sullo stato politico ed economico dell'Unione Europea. E' una lettera lineare, quasi disarmante nella sua semplicità, che spiega perfettamente sia le linee guida che il modus operandi della Banca Centrale Europea. I due banchieri non usano giri di parole. Due sono i passaggi altamente significativi. Nell'introduzione stabiliscono che è «necessaria un'azione pressante da parte delle autorità italiane per ristabilire la fiducia degli investitori». La lettera diventa ancora più precisa quando suggerisce le misure da intraprendere per ristabilire la fiducia degli investitori: permettere «accordi a livello di impresa così da ritagliare su misura (taylor nell'orginale inglese) i salari e le condizioni di lavoro alle esigenze specifiche delle aziende».

Non si tratta di una semplice lettera di suggerimento, ma di un manifesto politico a tutto tondo. Un manifesto politico che riprogramma la società in funzione delle necessità e dei desideri di pochi - le banche, le imprese, in una parola, il capitale - contro il lavoro, contro l'equità e la giustizia sociale, con il profitto e contro il salario. Un manifesto politico che avrebbe una sua legittimità se presentato agli elettori e votato, ma che si vuole invece far passare per imposizione e ricatto («O così o vi abbandoniamo alla speculazione»). D'altronde, la natura antidemocratica della lettera viene ribadita in un altro passaggio, quando si invita a privatizzare i servizi locali, fondamentalmente fregandosene del fatto che il popolo italiano ha appena deciso che, ad esempio, l'acqua è un bene comune e non può essere privatizzato. Forse Trichet non segue con attenzione le vicende politiche della nostra penisola, ma Draghi? Qui si tratta, in maniera del tutto lapalissiana, del disprezzo per le decisioni democratiche quando queste siano d'ostacolo al progetto oligarchico del capitale. Quel che sostanzialmente si propone è un superamento della democrazia del Novecento ed un ritorno al governo come comitato di affari della borghesia, di marxiana memoria.

D'altronde, le banche centrali sono ormai diventate istituzioni di parte, sottratte a qualsiasi forma di controllo popolare, totalmente unaccountable. Nonostante abbiano nelle loro mani importanti politiche pubbliche, in primis quella monetaria, non rispondono a nessuno delle loro azioni.
Da quando le banche centrali sono divenute indipendenti - in Italia il famoso divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro risale al 1981 - l'economia ha preso la piega che ben conosciamo: attenzione spasmodica (e senza nessun fondamento empirico) all'inflazione, crescita contenuta e comunque distribuita in maniera ineguale, a favore del profitto e contro il salario. Certo non solo a causa delle banche centrali, ma con il loro decisivo contributo. Le banche centrali sono spesso diventate ostaggio delle banche private che dovrebbero controllare, ma da cui sono in effetti controllate vista la partecipazione di queste ultime nel capitale delle istituzioni monetarie pubbliche. Stranamente però, mentre tutti parlano della riforma delle agenzie di rating, nessuno parla della riforma della governance delle banche centrali che dovrebbe essere il primo punto in agenda.

Non solo è urgente come non mai cambiare lo statuto della Bce, inserendo l'obbligo di preoccuparsi ed occuparsi di crescita e occupazione, ma è necessario riportare sotto il controllo politico questa istituzione. Non è accettabile che mentre le economie dell'Europa mediterranea affondano e milioni sono i senza lavoro, Trichet possa alzare i tassi di interesse, come ha fatto in estate. Non è pensabile che la Banca Centrale Europea metta il veto sul default parziale di Atene ed imponga di pagare un debito impagabile, che distrugge l'economia greca e che la trasforma in una economia centro-africana. Non è soprattutto immaginabile che una cricca di banchieri centrali possa pensare di imporre politiche fiscali e di "sviluppo" economico a parlamenti sovrani. La risposta alla crisi non è e non può essere una ulteriore involuzione tecnocratica (leggi: antidemocratica) come invece propongono De Ioanna e Galimberti sul Sole24ore, ma proprio l'esatto contrario. Quel che serve è una politica democratica, trasparente e giudicabile dagli elettori, al servizio degli interessi economici collettivi e non serva delle esigenze del capitale.

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