lunedì 29 agosto 2011

La Vecchia Castiglia, cuore d'Europa
Di Monica Bedana


E' la regione più vasta della Spagna, la terza più grande in Europa. Solo affacciandosi al muro di cinta di uno dei suoi tanti castelli medievali o guidando senza meta per le sue strade prive di orizzonte si può cogliere fino in fondo la vertigine della sua grandezza. Grandezza territoriale e storica. Da qui partí il grande sogno europeo di Carlo V, la lotta costante per quell'Europa politicamente unita che nel Cinquecento fu realtà ed ora è solo patetica finzione.

Castello di Villalonso

Nel 1518 il solido parlamento castigliano riunito a Valladolid per accogliere il nuovo sovrano -discendente dei re cattolici ma nato e cresciuto in terre lontane- diceva forte e chiaro che il potere del re non veniva da Dio ma da un contratto tacito tra il re ed il suo regno, in base al quale si sanciva che il regno serviva il re con i suoi tributi e lo aiutava con le sue genti in caso di guerra, mentre l'obbligo del re era di impartire buona giustizia. "In verità il re è nostro mercenario", tagliò corto il procuratore della città di Burgos nel rispondere alla magnifica eloquenza del futuro imperatore.
Oggi i governi, mercenari dell'Europa dei mercati, hanno completamente perduto il senso della "buona giustizia".

Castello di Tiedra

Castilla y León racchiude oltre il 60% del patrimonio artistico della Spagna, racchiuso in magnifiche città come Burgos, León, Salamanca, Ávila e Segovia, ma anche disseminato in una miriade di castelli, monasteri e conventi in cui si decisero le sorti del mondo. Due esempi su tutti: a Tordesillas, a venti chilometri da Valladolid, oggi un comune con meno di diecimila abitanti, nel 1494 Spagna e Portogallo si spartirono il nuovo mondo; nel Monastero di Santo Domingo de Silos apparirono, nell'XI secolo, alcune delle prime chiose in lingua romanza che furono il germe di una lingua che oggi parlano più di 400 milioni di persone in tutto il mondo.


Incredibilmente, anche sui rilievi dell'austera meseta spazzata da un vento secco e pungente anche in pieno agosto, può apparire, dove meno te lo aspetti, la magia italiana; qui sopra, Ermita de Nuestra Señora de la Anunciada, mirabile esempio di romanico lombardo.


Veglio sull'orizzonte dalla muraglia di Urueña - l'unica città del libro in Spagna - con un'ansia che non ha mai abbandonato negli anni il mio sguardo padano, troppo abituato a non trovare spazio in un territorio senza cielo e caoticamente pieno. Troppo per uno sguardo semplicemente umano; solo l'imperatore amico di Tiziano poteva dominarlo.

L'economia voodoo alla riscossa
Di Nicola Melloni da "Liberazione" del 26/08/2011

In Europa ancor più che in America è l'ora della riscossa dei liberali d'accatto. I problemi legati ai debiti sovrani, alle speculazioni contro i titoli pubblici e ai deficit dei governi europei hanno rimesso al centro del dibattito il ruolo dello stato nell'economia. Ostellino, sul Corriere, imputa al troppo stato la nascita della crisi finanziaria nel 2008, non dimenticandosi poi di renderci edotti che le ricette keynesiane sono più adatte a dittature come era quella sovietica che non a democrazie liberali. Certo, che la crisi nasca nel sistema bancario e in quei paesi (Usa e Uk) che i nostri liberali, tra cui lo stesso Ostellino, indicavano come l'esempio da seguire è un particolare irrilevante. Che poi il deficit sia soltanto la conseguenza del salvataggio delle banche deve apparire come una inezia.

Quell'intervento era indispensabile ma ora basta con le spese inutili, e subito intuiamo il vero obiettivo dei liberali d'accatto: le pensioni, la sanità, la scuola. Anche perché ora pure la teoria economica spiega che l'austerity è la miglior medicina per la crisi. Alberto Alesina, economista liberale italiano di stanza ad Harvard, ha appena rivoltato come un calzino settant'anni di studi, illustrando con dovizia di particolari che i tagli alle spese dello stato, componente della domanda aggregata, in realtà aiutano la stessa domanda a crescere. Una tesi talmente assurda (e validata solo attraverso un utilizzo a dir poco disinvolto delle statistiche) che per contrastare la tesi di Alesina sono scesi in campo dei bastioni del socialismo internazionale come l'Economist ed il Fondo Monetario Internazionale. Poco male, alla destra basta avere una pur minima copertura teorica, anche la più ridicola, per imbracciare il cannone e cominciare a sparare politiche economiche dagli effetti devastanti. Successe con Reagan e la curva di Laffer (l'idea secondo cui più si diminuiscono le tasse più aumenta il gettito fiscale, una teoria talmente priva di appigli reali che fu presto ribattezzata economia voodoo) ed ora ci siamo di nuovo con la Ue che sposa un'altra bufala - l'austerity che stimola la crescita - per cercare di imporre a tutti i paesi membri l'obbligo del pareggio di bilancio per legge.

Insomma, par proprio di essere in mano a degli stregoni che non avendo idee si affidano a riti magici. Questi stregoni sono al comando in Francia, in Germania, nella Bce e tentano di imporre le loro politiche senza logica al resto d'Europa, trovando una ottima sponda nell'inetto governo italiano.
Lo abbiamo detto più volte, il problema italiano è soprattutto legato alla crescita, crescita che già prima della manovra era stimata attorno all'1%. Per ridurre il debito, e di conseguenza rassicurare i mercati (che sarebbe poi quello che i liberali così fortemente vorrebbero), è indispensabile accelerare la crescita dell'economia, in quanto solo con un tasso di crescita nominale del Pil superiore agli interessi pagati sul debito si può mettere ordine alla dinamica del debito stesso.

In parte, ovviamente, ci potrebbe aiutare la Bce con una politica monetaria più espansiva, aumentando l'inflazione e riducendo di conseguenza gli interessi reali sul debito. Una soluzione che farebbe comodo a tutti i paesi in difficoltà dell'area mediterranea e che non avrebbe effetti negativi sulle economie più solide del Nord Europa. Ma a Berlino e Francoforte si preferisce aderire ad un'altra fantasiosa teoria economica, e cioè che l'inflazione sopra il 2-3% sia un problema per l'economia, quando invece, in situazioni come queste, rappresenta una opportunità.

Non potendo contare sulla leva monetaria, il nostro paese ha bisogno ora più che mai di una manovra che rilanci la crescita e non di una finanziaria recessiva come è invece quella proposta dal governo Berlusconi. Certo le spese improduttive devono essere cancellate, mentre bisogna rilanciare gli investimenti. Per reperire risorse e per cominciare ad abbattere il debito è inevitabile che tale manovra parta da una tassa patrimoniale il cui effetto sui consumi, al contrario di un innalzamento dell'Iva, sarebbe assai limitato. Che un governo di classe come quello di Berlusconi non la voglia appare ovvio e scontato; lo è assai meno che pure il Pd continui, assurdamente, a rinunciare a proporre tale tassa che non solo è moralmente equa ma anche e soprattutto economicamente giusta.

L'unica maniera di uscire da questa crisi è evitare che le politiche fiscali, come già quelle monetarie, rimangano ostaggio di una elite di super ricchi che si fanno scudo con teorie economiche fantasiose e dagli effetti disastrosi per l'Europa e per il mondo.

L'agonia di Zapatero, sancita dalla Costituzione
Di Monica Bedana

Il finale della legislatura di Zapatero e il suo addio alla scena politica si stanno trasformando in una lenta agonia con progressiva perdita di conoscenza del malato. Al capezzale di quel che fu il coraggioso Presidente che, appena eletto, compí senza indugi il primo punto del suo programma elettorale ritirando le truppe spagnole dall'Irak, c'è oggi l'infermiera Merkel a misurargli la febbre da spread e a raccomandargli l'unica medicina infallibile contro la crisi: l'introduzione del tetto di spesa pubblica nella Costituzione. E José Luis ingoia l'amara pillola, mentre l'opposizione fa quadrato ai piedi del letto del dolore tendendogli un bicchier d'acqua, applaudendo la docilità del malato e con la benedizione del consulto medico della BCE.

Zapatero è in prognosi riservata e dalla sua ormai voluminosa cartella clinica si impegnano ad emergere solo i bollettini medici che indicano l'irreversibilità della situazione: dall'ostinazione a non voler riconoscere l'esistenza della crisi mondiale, alla lentezza dell'applicazione delle prime misure per arginarla, fino alla crudezza dei tagli che hanno colpito in pieno quei diritti sociali che con tanta enfasi si era impegnato a costruire.
Ed ora alla malattia strutturale di tutto un sistema economico e di mezzo ciclo politico si aggiunge la cecità che gli impedisce di vedere che proprio l'austerità draconiana imposta dall'alto, sancita dalla Costituzione e fine a sé stessa è ciò che spingerà il Paese a sfiorare la Grecia.

Si alzano durissime le voci critiche di politici e membri di spicco del PSOE contro questa riforma-express, all'ultima moda italiana, della Costituzione: da Antonio Gutiérrez a Jordi Sevilla, da Tomás Gómez del Psoe di Madrid all'ex presidente del Parlamento Europeo José Borrell, fino allo storico Alfonso Guerra e a Fernando López Aguilar.
La società civile, in un'ennesima dimostrazione di ammirevole maturità, sta raccogliendo firme per chiedere che la riforma la decidano i cittadini attraverso un referendum, mentre gli indignados stanno organizzando le ormai consuete manifestazioni alla Puerta del Sol.

E l'agonia politica di Zapatero priva di ossigeno anche la campagna elettorale del candidato socialista Rubalcaba, che al suo esordio reclamava, in un inedito e vagheggiato ritorno alle origini del socialismo, che fossero le banche a pagare almeno parte del prezzo di una crisi da loro stesse generata. Il prossimo 20 novembre probabilmente non sarà più ricordato solo per essere il giorno in cui morí Franco.

Para A.V., qué remedio