giovedì 30 giugno 2011

L’oligarchia finanziaria e l’Europa sotto ricatto


Ad Atene si è consumato ieri un amaro paradosso: nella città culla della democrazia antica si è assistito all’inizio del tramonto della democrazia moderna. Nel mezzo delle proteste dei sindacati e del popolo greco, infine il Parlamento ellenico ha deciso di abdicare e, con un voto imposto dagli organismi internazionali e dal capitale transnazionale, ha consegnato le chiavi della sovranità ellenica ai burocati di Bruxells, Francoforte e Washington. La maggior parte dei mezzi di informazione descrive le immagini che arrivano da piazza Syntagma come scontri di facinorosi che assediano il luogo principe della democrazia, il Parlamento. In realtà la situazione è ben diversa, dentro quel Parlamento svuotato di ogni legittimità democratica si sono trincerati, ben difesi dalla polizia, gli oligarchi del capitale finanziario che impongono le loro pretese a forza di ricatti e bastonate.
Si tratta di un tuffo nel passato: la volontà popolare è stata esautorata e la Grecia è il primo paese europeo a sovranità limitata dai tempi dell’URSS e del patto di Varsavia. L’Unione Europea ha apertamente ricattato il governo di Atene, costringendo i parlamentari greci a votare un piano di tagli selvaggi, inutili e dannosi e di privatizzazioni assurde in cambio della tranche di aiuti promessi. Si dice, una amara medicina ma l’unica in grado di salvare lo stato ellenico dalla bancarotta. Peccato che gli aiuti europei non verranno utilizzati per alleviare la crisi economica greca ma per salvare le banche europee che hanno acquistato i titoli di stato greci.
Siamo a tutti gli effetti in una situazione di emergenza democratica. La BCE, il cui statuto ne garantisce l’indipendenza rispetto ai governi europei, è ormai diventata una istituzione che difende solo gli interessi di una oligarchia finanziaria più invasiva che mai. In effetti la stessa Banca Centrale Europea è sotto ricatto: se le banche non vengono salvate la crisi si estenderà ad altri stati decretando la fine dell’unione monetaria. I governi europei sono nella stessa situazione e cercano di circoscrivere la crisi finanziaria alla Grecia per evitare che il default di Atene coinvolga gli istituti finanziari europei, il cui fallimento lascerebbe l’industria priva di finanziamenti e le economie di tutto il continente a pezzi.
Non finisce qui: il piano di “salvataggio” imposto alla Grecia prevede la privatizzazione di tutte le fonti di reddito dello stato con l’esclusione del fisco (i cui proventi, comunque, vengono utilizzati per pagare gli interessi sui titoli di stato). Si tratta di un altro favore al capitale internazionale che potrà acquistare importanti proprietà pubbliche a prezzo di saldo – la forzata liquidazione significa semplicemente che il prezzo lo faranno i compratori e non i venditori in difficoltà.
In tutto questo non solo la democrazia si trasforma in plutocrazia, ma la stessa politica – l’arte di governare la polis, lo stato – firma il suo suicidio. I governanti di Atene, le cancellerie europee, i banchieri di Francoforte non hanno la minima idea di quello che stanno facendo e si affidano sostanzialmente al fato. Le cosiddette riforme votate dal Parlamento greco non risolvono nessun problema strutturale ma servono solo a guadagnare tempo. L’economia greca non si riprenderà ma sarà affossata dai tagli, lo stato greco non diventerà solvente ma anzi si ritroverà in una situazione fiscale anche peggiore dopo aver svenduto importanti fonti di entrata. Alla prossima scadenza di titoli pubblici la situazione di crisi si ripresenterà tale ed uguale alla presente, se non peggiore. Risposte di sistema non vengono date ed il rischio di contagio rimane altissimo. Non si tratta più solo di fronteggiare la crisi economica, ma siamo di fronte ad una crisi democratica che rischia di estendersi assai velocemente al resto d’Europa. La battaglia di piazza Syntagma, ormai, non è più solo per la difesa del lavoro, ma per il futuro della democrazia.  

Nicola Melloni (Liberazione, 30 giugno 2011)

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