mercoledì 23 febbraio 2011

Italia 2011. ”Qui si fa l’impresa o si muore”. L’esempio della Ghizzoni s.p.a.


Non solo Fiat. C’è un modo differente di fare impresa. Vivere investire lavorare credere nell’Italia paralizzata dagli scandali, dalle impasse infinite e dall’irresponsabilità generale

Come alzarsi al mattino e dar senso ai propri giorni e alla propria esistenza. Ghizzoni s.p.a. nasce a Parma nel ’50, si specializza da subito nel settore della costruzione di condotte per gas e liquidi.Acqua vita gas idrocarburi per accendere lo sviluppo dei popoli. Prodotto strategico e anche con valenza simbolica: collegamento, unione, energia.
Grazie al possente spirito d’iniziativa dei titolari, al coraggio imprenditoriale e alla determinazione attenta ma caparbia, nonostante la scarsa propensione alla questua di contributi statali, con poche o nessuna protezione politica o lobbistica , l’ azienda cresce e dilaga per meriti e mezzi propri. L’ampliamento dei mercati dell’ Europa post ’89 le dà impulso ulteriore, e rappresenta maggiore crescita, stimolo e opportunità. La Ghizzoni s.p.a. resta ostinatamente Italiana ma diventa europea nella presenza operativa e nelle dimensioni, nella collaborazione con tutte le maggiori imprese energetiche raggiungendo il traguardo dei 3000 Km di condotte, diramate in ogni angolo del continente. Attualmente è in corso di realizzazione, e procede a regimi elevatissimi, l’ opera di adeguamento dell’ impianto di compressione di Montesano (Sa), che rientra tra quelle destinate al potenziamento delle capacità di trasporto dei gasdotti transmediterranei (immettono in Europa metano proveniente dal nord Africa tramite condotta sottomarina), progetto commissionato da SNAM – Rete gas.
Ghizzoni si avvale del business "in house", si occupa in proprio dell’ attività di ricerca e innovazione tecnologica, capisaldi dell’ azienda che le consentono di rimanere costantemente competitiva, e di agire efficacemente su diversi fronti, incluso quello del contenimento dell’ impatto ambientale degli interventi. E’ stata la prima azienda italiana a conseguire la certificazione tramite Lloyd’s Register Quality Assurance, nel settore pipelines. L’azienda si fregia di operare nella piena legalità, attraverso l’ osservanza rigorosa di normative e regolamenti nazionali ed esteri in materia di Qualità, Salute, Sicurezza, Ambiente, e ciò non viene vissuto come un vincolo limitante, bensì come stimolo alla crescita e allo sviluppo ulteriori,scelta vantaggiosa allo scopo di conseguire, sempre maggiori credibilità e accreditamento internazionali.Anche dal punto di vista della gestione del capitale umano, l’ azienda persegue una politica improntata a rispetto, trasparenza, chiarezza e univocità di intenti.
Il personale è corresponsabile, partecipe, valorizzato, motivato, tutelato.
Significativa e commovente la schietta testimonianza di Sami Outtara, immigrato dal Burkina Faso che per la prima volta, dopo anni di sottomissione al caporalato agricolo e allo sfruttamento cantieristico, in seguito al suo approdo in questa grande impresa, come lui stesso riferisce a “rassegna Sindacale” settimanale CGIL “ vede la luce” della legalità, del diritto, della tutela, e del rispetto della dignità della sua persona.Stessa attenzione per i cassintegrati ex Novelis – laminati in alluminio – Borgofranco d’Ivrea, multinazionale svizzera il cui sito è stato di recente acquistato e i cui lavoratori integrati nell’ organico.A differenza di altre grandi aziende italiane questa non ordisce traslochi finanziari destinati ad alimentare una “ piattaforma economica parallela” - peraltro fatalmente votata all’ implosione come già successo in tempi recentissimi, per il guadagno di nessuno - non trama alle spalle delle proprie risorse umane, che al contrario valorizza , non vagheggia improbabili trasformazioni ubiquitarie della propria sede e della propria ragione sociale. E’ una straordinaria realtà italiana che si avvale nient’ altro che di impegno ricerca e coraggio, che tenta con la propria professionalità e la propria efficienza e propensione all’ avanzata di controbilanciare la scarsa credibilità di cui gode al momento il nostro paese, a causa della stasi necrotica che lo attanaglia,e di una politica economica talmente miope e ottusa da scoraggiare chiunque abbia in mente qualunque forma di partenariato o investimento in Italia, oltre che di una leadership considerata sempre meno affidabile.
Qui si tratta di Attività Produttiva Vera, non fittizia, funzionale, di transizione, pretesto o copertura. Qui si tratta di art. 1 della Costituzione, di lavorare e di far lavorare, consentire vita e sviluppo agli individui e alle nazioni. Qualunque governo con un minimo di senso di responsabilità dovrebbe incrementare incoraggiare diffondere questo modo di fare impresa. Invece lo deprime con leggi incomprensibili, burocrazia come sappiamo, politica spiaggiata, clientele e vassallaggi imperituri, galleggiamento “a vista”, dichiarazioni vacue, indifferenza colpevole. In questo quadro davvero poco confortante, il solo fatto di fare il proprio mestiere in scienza e coscienza, di perseguire un bene che non è sempre solo esclusivamente il proprio ma è anche, magari, quello della collettività, assume curiosamente e incredibilmente - proprio in quest’ anno difficilissimo ancorchè celebrativo - i tratti e i colori dell’ eroismo al valor nazionale. Viva l’Italia.

Agora Vox

La lotta di classe sotto altro nome


Stiamo vivendo la valanga conservatrice-neoliberale guidata dal cancelliere Angela Merkel, che propone la realizzazione di riforme nell’eurozona, indirizzate a migliorare la competitività dei paesi che la compongono, sulla base di una riduzione dei salari e dei diritti dei lavoratori. Con tale atteggiamento si presuppone che la competitività dipenda soprattutto dai salari, in modo che la loro variazione al ribasso produrrà un aumento al rialzo della competitività, permettendo una discesa dei prezzi che renderà i prodotti più economici e quindi ne aumenterà la competitività. A supporto della sua teoria, Merkel parla della Germania, la cui alta competitività si basa, secondo il cancelliere, nella “moderazione salariale”, parole utilizzate nel discorso neoliberale per definire un processo nel quale i salari vengono congelati o diminuiscono, mentre la produttività aumenta.

Il problema di tale teoria è che i dati non supportano questa tesi. Come ha documentato molto bene Ronald Janssen nel suo articolo European Economic Governance: The Next Big Hold Up On Wages, nella nota rivista Social Europe Journal (02-03-2001), la famosa competitività tedesca ha poco a che vedere con il livello dei salari, con la loro moderazione o con i prezzi dei prodotti che la Germania esporta. Il successo delle esportazioni tedesche non si basa sui loro prezzi, cosi come è stato documentato proprio dalla Commissione Europea in un rapporto del 2010 che arrivò alla conclusione che la crescita delle esportazioni tedesche durante il periodo 1998-2008 (una crescita annua del 7,3%) è dovuta sostanzialmente alla crescita dei mercati importatori.

Solo uno 0,3 % è dovuto al cambio dei prezzi dei prodotti esportati. Il miracolo esportatore tedesco si deve, principalmente, all’enorme crescita delle importazioni dei prodotti tedeschi soprattutto da parte delle economie emergenti. Si tratta di prodotti come attrezzature tecnologiche di Telecom, infrastrutture per i trasporti ed altri. Il successo delle esportazioni è da attribuire perciò al know how piuttosto che ai prezzi dei prodotti. Studi econometrici realizzati in Germania hanno dimostrato che una riduzione del 10% sul prezzo del prodotto, ne aumenterebbe l’esportazione solo di un 4%. Da questi ed altri dati si deduce che la moderazione salariale che ha avuto luogo durante questo periodo in Germania non serviva per ridurre i prezzi (che non si sono ridotti) bensì ad aumentare i profitti aziendali, che hanno raggiunto livelli senza precedenti. La percentuale dei profitti del settore aziendale della manifattura e di altri settori esportatori è aumentata di un 36% sul valore aggiunto lordo nel 2004, e di un 48% nel 2008. Intanto, i salari, rimangano invariati.

Ed è questa la ragione del ragionamento conservatore-neoliberale. L’obiettivo non è la difesa dell’economia o della competitività, ma gli interessi delle grandi imprese (banche incluse, naturalmente), a spese dei lavoratori. E’ quello che prima si chiamava lotta di classe, che adesso viene nascosto sotto il panegirico della competitività. E questo è il modello che il cancelliere Merkel e il suo partito (che appartiene alla stessa famiglia politica del Partito Popolare in Spagna, o del Popolo delle Libertà in Italia[1]) vuole introdurre nella UE. Questi interessi aziendali e finanziari sono gli stessi che si stanno promuovendo con le stesse ragioni in Spagna, premendo per una riduzione dei salari. Vogliano abbassare i salari per aumentare i profitti, difendendo la loro tesi con l’idea che una riduzione dei salari aumenterebbe le esportazioni, aiutando l’economia. Pero le esportazioni in Spagna continuano ad aumentare, cosi come è cresciuta la produttività e sono aumentati i salari in maniera simile, in proporzione, in Germania, come ha sottolineato Mark Weisbrot nel suo articolo Spain’s Trouble are Tied to Eurozone Policies, su The Guardian (29-01-2001). In realtà, come in Germania, la variabilità dei prezzi non è determinante sulla misura delle esportazioni spagnole. Anche in Spagna, come in Germania, la chiave è la domanda dei paesi importatori. Ridurre i salari in Spagna con il fine di influire sulla competitività richiederà un sostanziale taglio dei salari perché si notino gli effetti. E questi tagli influiranno negativamente sulla domanda interna.

Ed è questo il punto cruciale della questione in Spagna e nella UE. Le loro esportazioni non dipendono tanto dal prezzo dei loro prodotti quanto alla loro domanda, che dipende, a sua volta, dalla crescita del mercato interno e importatore, che comprende per lo più i paesi dell’eurozona. Le esportazioni spagnole si basano su prodotti di alta e media tecnologia (prodotti lavorati), come in Germania, e su prodotti agricoli, della pesca e artigianato di bassa e media tecnologia, la cui esportazione e consumo dipende più dalla qualità che dal prezzo. Il fattore più determinante delle esportazioni spagnole è la crescita del potere d’acquisto dei paesi importatori, come la Germania (che dipende dal livello dei loro salari). Quindi la riduzione dei salari in Germania, cosi come in Spagna (e in altri paesi dell’eurozona) va necessariamente contro l’aumento del commercio, abbattendo la domanda sia domestica che esterna, ritardando notevolmente la capacità di recupero delle economie europee.

Ciò che sta succedendo nell’eurozona è che gli interessi finanziari e delle grandi aziende stanno utilizzando la crisi, che loro stessi hanno creato, per ottenere ciò che sempre hanno voluto: la riduzione fino all’eliminazione dei diritti sociali, del lavoro e politici delle classi popolari in generale, e della classe operaia in particolare. E di questo bisogna informare la popolazione.


DI VICENÇ NAVARRO
Público


[1] Credo sia necessario fare il paragone con l’Italia, visto che i lettori ne riconoscono più rapidamente le caratteristiche principali

Titolo originale: "Lucha de clases bajo otro nombre"

Fonte: http://www.publico.es/