giovedì 30 giugno 2011

L’oligarchia finanziaria e l’Europa sotto ricatto


Ad Atene si è consumato ieri un amaro paradosso: nella città culla della democrazia antica si è assistito all’inizio del tramonto della democrazia moderna. Nel mezzo delle proteste dei sindacati e del popolo greco, infine il Parlamento ellenico ha deciso di abdicare e, con un voto imposto dagli organismi internazionali e dal capitale transnazionale, ha consegnato le chiavi della sovranità ellenica ai burocati di Bruxells, Francoforte e Washington. La maggior parte dei mezzi di informazione descrive le immagini che arrivano da piazza Syntagma come scontri di facinorosi che assediano il luogo principe della democrazia, il Parlamento. In realtà la situazione è ben diversa, dentro quel Parlamento svuotato di ogni legittimità democratica si sono trincerati, ben difesi dalla polizia, gli oligarchi del capitale finanziario che impongono le loro pretese a forza di ricatti e bastonate.
Si tratta di un tuffo nel passato: la volontà popolare è stata esautorata e la Grecia è il primo paese europeo a sovranità limitata dai tempi dell’URSS e del patto di Varsavia. L’Unione Europea ha apertamente ricattato il governo di Atene, costringendo i parlamentari greci a votare un piano di tagli selvaggi, inutili e dannosi e di privatizzazioni assurde in cambio della tranche di aiuti promessi. Si dice, una amara medicina ma l’unica in grado di salvare lo stato ellenico dalla bancarotta. Peccato che gli aiuti europei non verranno utilizzati per alleviare la crisi economica greca ma per salvare le banche europee che hanno acquistato i titoli di stato greci.
Siamo a tutti gli effetti in una situazione di emergenza democratica. La BCE, il cui statuto ne garantisce l’indipendenza rispetto ai governi europei, è ormai diventata una istituzione che difende solo gli interessi di una oligarchia finanziaria più invasiva che mai. In effetti la stessa Banca Centrale Europea è sotto ricatto: se le banche non vengono salvate la crisi si estenderà ad altri stati decretando la fine dell’unione monetaria. I governi europei sono nella stessa situazione e cercano di circoscrivere la crisi finanziaria alla Grecia per evitare che il default di Atene coinvolga gli istituti finanziari europei, il cui fallimento lascerebbe l’industria priva di finanziamenti e le economie di tutto il continente a pezzi.
Non finisce qui: il piano di “salvataggio” imposto alla Grecia prevede la privatizzazione di tutte le fonti di reddito dello stato con l’esclusione del fisco (i cui proventi, comunque, vengono utilizzati per pagare gli interessi sui titoli di stato). Si tratta di un altro favore al capitale internazionale che potrà acquistare importanti proprietà pubbliche a prezzo di saldo – la forzata liquidazione significa semplicemente che il prezzo lo faranno i compratori e non i venditori in difficoltà.
In tutto questo non solo la democrazia si trasforma in plutocrazia, ma la stessa politica – l’arte di governare la polis, lo stato – firma il suo suicidio. I governanti di Atene, le cancellerie europee, i banchieri di Francoforte non hanno la minima idea di quello che stanno facendo e si affidano sostanzialmente al fato. Le cosiddette riforme votate dal Parlamento greco non risolvono nessun problema strutturale ma servono solo a guadagnare tempo. L’economia greca non si riprenderà ma sarà affossata dai tagli, lo stato greco non diventerà solvente ma anzi si ritroverà in una situazione fiscale anche peggiore dopo aver svenduto importanti fonti di entrata. Alla prossima scadenza di titoli pubblici la situazione di crisi si ripresenterà tale ed uguale alla presente, se non peggiore. Risposte di sistema non vengono date ed il rischio di contagio rimane altissimo. Non si tratta più solo di fronteggiare la crisi economica, ma siamo di fronte ad una crisi democratica che rischia di estendersi assai velocemente al resto d’Europa. La battaglia di piazza Syntagma, ormai, non è più solo per la difesa del lavoro, ma per il futuro della democrazia.  

Nicola Melloni (Liberazione, 30 giugno 2011)

Articoli


Segnalati da Carla, tre articoli che potrete leggere cliccando sul titolo:
- Le guerre senza uomini sotto gli occhi di Borges
- Tav, alta velocità o alta voracità?
- Gianni Rinaldini: "Tagliato il diritto di voto dei lavoratori. Questo accordo rappresenta il suicidio del sindacato"

mercoledì 29 giugno 2011

L'ULTIMO DISCORSO

In questi giorni si sta svolgendo nel Parlamento spagnolo il principale dibattito dell'anno, quello sullo stato della nazione. Serve a fare il punto sulla politica generale del Governo nell'anno trascorso dal dibattito precedente; è una sana pratica parlamentaria radicatasi nella II Legislatura, non sancita dalla Costituzione né dal Regolamento del Parlamento stesso.

Trasmesso in diretta da tutti i mezzi di comunicazione, minuziosamente regolato in quanto a modalità e tempi di intervento (uguali per tutti gli esponenti dell'arco parlamentario e rigorosamente rispettati, in un pregevole esercizio di cortesia e misura), suole fornire brillanti scontri retorici, coscienziosamente preparati con lungo anticipo, tra i rappresentanti delle varie forze politiche.
Il Presidente del Governo apre il dibattito col suo discorso.

Quest'anno, senza dubbio, i cittadini sanno perfettamente quale sia lo stato in cui versa la nazione, anche senza necessità di ascoltare l'intero dibattito; rimaneva da scoprire se la classe politica avesse realmente capito quale fosse lo stato dei cittadini in questo momento.

Nel suo ultimo, importantissimo discorso pubblico, quello destinato a fare l'amaro bilancio di quattro anni di legislatura in cui spesso si è avuta la senzazione che il Presidente fosse allo sbando, Zapatero ha riconosciuto colpe ed errori ed ha chiesto e teso la mano all'opposizione -che di fatto già governa il Paese nella maggioranza delle Regioni e dei Comuni- per portare a termine il mandato, recuperando almeno parte della serenità politica perduta nell'ultimo anno.
E alla fine del suo intervento, che probabilmente nasconde un addio, il Presidente ha ricordato i propri principî democratici e quelli degli indignados, che per la seconda volta in pochi giorni entrano di diritto in Parlamento, questa volta dalla porta principale.

Ecco la (mia) traduzione di quella significativa parte del discorso.

L'inquietudine ed il malessere prodotti dalla crisi hanno provocato che alcuni settori sociali dirigano, negli ultimi tempi, uno sguardo esigente al nostro sistema politico e gli reclamino esemplarità e risposte giuste. Anche questo sentimento forma parte dello stato della nazione.


La democrazia, la democrazia rappresentativa, è associata alle maggiori quote di libertà e benessere collettivo che gli esseri umani abbiano mai conosciuto. La nostra storia recente, quella degli ultimi trent'anni, ne è buona testimonianza.


Cosí è, precisamente, per il carattere di regime aperto, perfettibile nell'essenza, del sistema democratico; permeabile come nessun altro alle richieste e rivendicazioni dei cittadini. Se c'è democrazia c'è cambiamento, c'è risposta ai cambiamenti politici e sociali. Dal momento in cui arrivai al Governo nel 2004 ho sempre tenuto presente quest'idea e questa disposizione a promuovere miglioramenti democratici.
...
Quel che abbiamo visto nelle ultime settimane sono manifestazioni, proteste e richieste realizzate sotto l'egida dei diritti democratici. Esse formano parte della fisiologia -e non della patologia- del nostro modello di convivenza; e rivendicano il valore della politica. Possiamo discrepare -io lo faccio- su molte delle proposte, molto eterogenee, che nascono da quegli incontri; devono però essere oggetto di rispetto -di un rispetto sincero, non retorico- e sono di indubitabile interesse per i governanti democratici. E lo sono proprio perché abbiamo l'obbligo permanente di dar risposta alle inquietudini sociali. Con umiltà.


E' la Spagna. Mi piacerebbe che potesse essere l'Italia. Domani, chissà... .

Monica Bedana

giovedì 23 giugno 2011

INDIGNATI, NUOVI RESISTENTI
di Monica Bedana

Gli indignati del 15 maggio (15 M) hanno camminato senza vacillare fino al 19 giugno (19 J, 200.000 persone pacificamente indignate che riempivano strade, piazze e perfino gli angoli più remoti della penisola iberica) ed ora corrono verso il 15 ottobre (15 O), all'appuntamento con uno sciopero generale che sarà probabilmente convocato a nome loro da un sindacato minore.

Le date, in questo Paese, sono importanti. Nel bene e nel male, espresse in linguaggio colloquiale da numero e lettera, qui segnano sempre una pietra miliare, un antes y un después nella storia contemporanea. E gli scioperi generali non sono uno scherzo; forma di protesta utilizzata con grandissima parsimonia, quando colpisce mette in ginocchio l'intera nazione. La classe politica lo sa e ieri il Parlamento ha avviato il primo dibattito, con la partecipazione di tutti i partiti (su proposta della sinistra repubblicana della Catalogna, ERC), sul movimento del 15 M.
La macchina politica che, per una volta, si ferma a tendere l'orecchio al cittadino; da disincantata italiana e romantica della politica questo fatto ha per me un valore quasi magico.
Poco o nulla significano in realtà le conclusioni a cui sono giunti i parlamentari; generiche promesse di accelerare la legge sulla trasparenza e di migliorare il funzionamento democratico. Aria fritta, in pratica. Ma anche il puro tramite vale la pena quando ascolti la casta che, finalmente in imbarazzo, tenta di giustificare i propri privilegi (limitatissimi peraltro, rispetto a quelli dei parlamentari italiani e di buona parte del resto dei colleghi europei) e sente il fiato della piazza sul collo.

Gli indignati siamo, dobbiamo essere tutti. Sulle pagine dei giornali, nelle immagini della tivù, parla per noi quel 43% di giovanissima popolazione spagnola che non trova lavoro, che denuncia una classe politica che non ci rappresenta ed i loro privilegi, che esige pulizia e trasparenza nelle Istituzioni e che ora alza il tiro, esce dai confini della Spagna e punta dritto al “patto dell'euro”, la strada giusta per trascinare le coscienze dell'Europa intera.

Dice Stéphane Hessel, quasi 94 anni, eroe della Resistenza francese, che gli indignati sono i Resistenti dei nostri giorni e questa idea mi piace. Dice che il nemico di oggi, la dittatura del mercato, è molto più insidioso e duro da combattere del nazismo di ieri e che l'indifferenza è senza dubbio l'atteggiamento peggiore. E nessuno può essere indifferente al fatto che non può esistere democrazia se non siamo padroni del nostro destino.

sabato 18 giugno 2011

Todo Cambia



Edda dal palco di TUTTINPIEDI ci ha ricordato che tutto cambia e Teresa De Sio l’ha ribadito con la sua straordinaria voce.
Sono rimasta incollata a RAI NEWS ieri sera, non potevo perdermi quello spettacolo meraviglioso offerto dalla FIOM e dal mondo del lavoro e della cultura.
Per tanto tempo forse ci siamo sentiti soli, isolati quasi abbandonati. Eppure eravamo in tanti ma forse non ancora sufficienti per risvegliare una speranza per questo nostro paese.
Ci siamo sentiti orfani dei partiti e di una classe politica dirigente capace di interpretare le nostre aspettative, le nostre esigenze, le nostre volonta’ di cittadini e cittadine. Molti di noi guardavano e collaboravano con quella parte della societa’ che si organizzava per far sentire la propria voce, per lanciare proposte, per difendere i nostri diritti di lavoratori, di studenti, di cittadini. I partiti ci avevano dimenticati, troppo occupati a pensare come salvarsi la “cadrega” (la sedia). Quante volte abbiamo ripetuto che erano autorefrenziali perche’ non rappresentavano la societa’ che “pretendevano” di rappresentare.
Le vittorie alle amministrative e ai referendum ci hanno restituito il sorriso e ora quando ci contiamo scopriamo che cresciamo.
Certo e’ importante non abbassare la guardia perche’ sarebbe un errore ma continuare a fare la nostra parte nelle nostre citta’, nei paesi dove viviamo e lavoriamo e’ piu’ semplice quando si vede la luce in fondo al tunnel.
In Inghilterra, dove vivo, i miei colleghi inglesi erano increduli per questo vento di aria fresca che soffia in Italia. Ci avevano dati per spacciati, ci consideravano un popolo straordinario per la nostra arte ma patetico per la nostra capacita’ di consentire al sultano di spadroneggiare. E’ stata una vera e propria gioia poter dire loro che un’Italia libera e pensante c’e’, c’e’ sempre stata e attraverso la costanza, la voglia di cambiare la societa’ ha lottato e resistito anche quando veniva voglia di gettare la spugna.
TODO CAMBIA ma puo’ succedere solo se saremo uniti come lo siamo stati in questi ultimi mesi.
La FIOM in questo cammino di cambiamento ha giocato un ruolo importantissimo. Ha saputo unire tutti gli “idignati” italiani, dai precari, agli studenti, dagli insegnanti agli artisti. Tutti insieme con gli operai che a Mirafiori e Pomigliano ci hanno dato una lezione di lotta per la difesa dei propri diritti e del proprio sindacato.
Ieri una parte dell’Italia migliore era rappresentata a Bologna alla festa dei 110 anni della FIOM. Persino Benigni ha sentito di non poter mancare.
E’ bello non sentirsi soli, e’ bello vedere un risveglio, e’ bello pensare che in fondo il sacrificio quotidiano di ciascuno di noi all’interno delle nostre associazioni, dei nostri comitati per la difesa di questo o quel diritto, di semplice cittadino che ha deciso che Resistenza sia una parola d’ordine, sia un sacrificio che paga quando la cittadinanza risponde come ha saputo fare sui referendum, quando ha il coraggio di eleggere un De Magistris a Napoli gridando la voglia di legalita’.
TODO CAMBIA se sapremo oggi ancora resistere per domani ricostruire.
Carla

L’onda lunga del tracollo greco che parla all’Italia


Sotto l’onda lunga del tracollo economico greco anche il resto dell’Europa sembra annaspare con sempre più difficoltà. I tassi sui titoli di stato ellenici sono schizzati al 18% mentre l’irrequietezza tocca anche le due altre economie per ora più colpite dalla crisi, quelle irlandese e portoghese. La novità è che, secondo la Banca Europea, queste tensioni stanno ora raggiungendo il cosiddetto “terzo anello”, cioè i paesi non ancora colpiti da attacchi speculativi ma che, per ragioni diverse, sono considerati “a rischio”. In Spagna, Belgio ed Italia il differenziale tra tassi d’interesse tedeschi e quelli dei paesi a rischio si sta ampliando, segnalando in maniera chiara che il mercato teme che la crisi non si fermi ad Atene e che il tanto paventato effetto domino arrivi a colpire il cuore dell’Europa.
Per evitare che questa situazione di tensione degeneri in panico, la Banca Centrale chiede interventi decisi per tranquillizzare le piazze finanziarie, ed in particolare, nel caso del nostro paese la BCE pretende certezza su quali siano le misure che il governo intende adottare per ridurre il deficit fino al 2014. Fatti, non parole, che sono invece la specialità del nostro esecutivo. A Roma è tutto un alzarsi di voci in libertà: da una parte, dopo dieci anni di governo quasi ininterrotto si ritira fuori la riforma fiscale sempre annunciata e mai fatta; dall’altra Tremonti resiste alle pressioni di Berlusconi e della Lega in nome del rigore dei conti. In mezzo il paese che pian piano rotola sempre più in basso, vittima di veti incrociati, di lobby affaristiche poco chiare quando non proprio criminali, di grandi interessi che sfruttano la loro rendita di posizione.
L’Italia sembra trovarsi con le spalle al muro, stretta tra la crisi economica, il peso del debito pubblico e la necessità di rilanciare l’economia. Per Tremonti risorse per fare la riforma fiscale non ci sono, ed è escluso che si possa farla in deficit, mentre l’Europa insiste che vengano trovati proventi addizionali per ridurre il deficit ed in prospettiva il debito.  Il messaggio che ci viene lanciato è che l’Italia non possa permettersi politiche di rilancio economico e che le uniche “riforme” possibili siano i tagli alla spesa pubblica. Questo però vorrebbe dire affossare definitivamente l’economia reale, aggravando il circolo vizioso debito-tagli-stagnazione-debito. Il paese, dopo un ventennio di politiche restrittive ha bisogno urgentemente di rilanciare la crescita, anche se certo i conti pubblici vanno tenuti d’occhio per evitare che la grande speculazione travolga l’economia italiana.
Si tratta di rilanciare gli investimenti puntando non sulla precarietà dei lavoratori e su salari minori, ma su incentivi fiscali che mirino ad aumentare l’occupazione e il reinvestimento dei profitti. Allo stesso tempo bisogna incrementare i consumi, favorendo soprattutto quelli medio bassi. I soldi ci sono, si tratta di trovarli. In un paese in cui negli ultimi trent’anni il reddito da lavoro e quello da capitale si sono mossi in direzioni opposte, impoverendo larghi strati della popolazione mentre le rendite dei pochi aumentavano, il tesoretto che serve per rilanciare l’economia e cominciare a mettere in ordine i conti pubblici va trovato nelle tasche di chi più ha preso, spesso in maniera per altro poco lecita. Certo la lotta all’evasione fiscale va ulteriormente rinforzata, ma non può bastare, almeno nel periodo iniziale. Bisogna colpire le rendite finanziarie, tassate ad un livello ridicolo, ed i patrimoni più consistenti. In Italia parlare di tali politiche sembra una bestemmia, ma si tratta di scelte quanto mai ovvie, che si basano non solo su una logica di equità ed eguaglianza (valori che la politica dovrebbe ricominciare a far propri) ma anche e soprattutto su una ferrea razionalità economica. Tassare i patrimoni improduttivi per rilanciare gli investimenti produttivi, ridurre il reddito disponibile di chi non lo consuma a favore invece di chi non ha risparmi sono misure dai sicuri benefici. Certo, sono misure anche impopolari in diversi settori della popolazione (ma non lo dovrebbero essere, ad esempio, tra gli imprenditori interessati a rilanciare la loro fabbrica e non allo sperpero nel lusso), ma d’altronde la politica è fatta di scelte. Mentre i governi berlusconiani hanno sempre fatto scelte di campo chiare – in favore dell’evasione, della rendita, degli interessi privati, sempre contro la scuola pubblica, l’università, il lavoro salariato – i passati governi di centro-sinistra hanno privilegiato un approccio che cercava di accontentare tutti, finendo con lo scontentare sia il tradizionale elettorato di sinistra che non vedeva la situazione cambiare in maniera decisa, sia quello di destra, comunque meglio protetto da Berlusconi&company.  Ora, con la crisi alle porte, ed il rischio del definitivo tracollo economico, è giunta l’ora delle scelte. Radicali.
Nicola Melloni (Liberazione)

Chi paga i conti della Grecia?


La crisi greca sembra ormai senza fine, confermando le fosche previsioni che avevamo fatto da queste pagine. Non solo il piano di salvataggio è andato completamente a vuoto, ma ora la situazione è addirittura peggiorata, costringendo Ue e Fmi ad un nuovo intervento, quantificabile in circa 80 miliardi, che però sembra creare fratture difficilmente componibili tra i vari stati membri dell’Europa. Tedeschi e paesi nordici sostengono che la Ue debba “aiutare” Atene, ma non da sola e che anche gli investitori privati debbano assumere una parte del peso finanziario di tale operazione. La Bce, sostenuta da Francia e Belgio, nega invece a priori un coinvolgimento dei privati. Il discorso di Berlino è molto semplice: se la Grecia dovesse fallire le prime a pagare sarebbero le banche che hanno comprato i titoli greci (e che sono, in maniera ormai evidente, il motivo principale per cui l’Europa tutta vuole evitare il default ellenico) e dunque, secondo la Merkel, è giusto e normale che quelle stesse banche si facciano carico di una parte degli oneri del salvataggio di Atene – in fondo si tratta di una operazione fatta nel loro interesse. A Francoforte, invece, si sostiene la tesi opposta. Coinvolgere le banche nel salvataggio (cioè obbligarle a riacquistare i titoli greci in scadenza) equivarrebbe a dichiarare un fallimento “parziale” di Atene con conseguente effetto a catena sul resto dell’area Euro. Le banche coinvolte avrebbero problemi di liquidità e, inevitabilmente, temerebbero che il pacchetto greco venisse prima o poi esteso alle altre economie europee in difficoltà, dall’Irlanda al Portogallo, in tal maniera scatenando un panico preventivo nei mercati finanziari in cui si cercherebbe di liquidare al più presto i titoli di quei paesi, aumentando i tassi di interesse, peggiorando la situazione debitoria e facendo infine crollare le economie di quei paesi. Si tratterebbe, in buona sostanza, di profezie auto-avverantisi (self-fulfilling prophecies). Secondo Draghi, la Bce e l’Europa devono assolutamente evitare che si ripeta un nuovo caso Lehman, la banca americana che fallendo generò il collasso dell’economia globale nel 2007-08. Il governatore europeo in pectore sostiene che nessuno può sapere quali sarebbero le conseguenze di un default greco, quali sarebbero le banche colpite, quali rischierebbero la paralisi e la bancarotta.
Il rischio è che davanti ad un effetto a catena sul sistema creditizio europeo, i governi dell’Unione debbano nuovamente intervenire con un altro bail-out, non avendo però questa volta abbastanza risorse a disposizione. Quello che dice Draghi è in larga misura condivisibile e rischi per la stabilità non solo delle banche, ma dei governi della Ue, sono più che reali, come avevamo anticipato già da tempo. Quello che però rimane senza risposta è come mai, a quattro anni dal fallimento di Lehman, ci si ritrovi nella stessa situazione. Ci avevano detto che l’Occidente aveva capito gli sbagli fatti, che il sistema finanziario internazionale sarebbe stato riformato, che il peso delle banche sarebbe diminuito e le loro attività meglio controllate per evitare rischi sistemici e l’obbligo di salvataggio di istituti troppo grandi per esser lasciati fallire. Nulla di tutto questo è stato fatto e Draghi dovrebbe poterci dire qualcosa a proposito, in virtù anche del suo ruolo di presidente del Financial Stability Board.
In realtà in questi anni non si è data nessuna risposta di sistema alla crisi del capitalismo finanziario. Si sono salvate le banche con modalità a dir poco discutibili, senza intervenire sulla natura del problema, il ruolo fuori controllo che gli istituti finanziari hanno nell’economia globale. Invece di ridurne le dimensioni, si è lasciato che le banche crescessero ancora. Invece di porre ferrei controlli sui movimenti di capitale e sulla speculazione, si è lasciato nuovamente che il mercato si auto-regolasse. Si è sostanzialmente lasciato che le banche ricominciassero ad investire in attività remunerative senza che portassero il rischio di tali investimenti: va bene guadagnare il 16% annuo sui bond greci, ma non va bene che gli stessi bond non vengano ripagati da un paese che è in sostanziale bancarotta. L’economia europea continua a muoversi come un pendolo, oscillando tra le perdite delle banche trasformate in debito pubblico ed i titoli del debito pubblico acquistati dalle banche e garantiti da nuove emissioni di contante degli stati europei. Nel frattempo ai cittadini è chiesto di stringere la cinghia mentre le banche sono le uniche a non aver pagato le conseguenze della crisi che hanno originato. Alla faccia del libero mercato e del rischio d’impresa, il mondo in cui viviamo rimane sempre e comunque caratterizzato da profitti privati e perdite pubbliche. Il problema è che non è rimasto più denaro per continuare con questo giochino.
Nicola Melloni (Liberazione) 

martedì 14 giugno 2011

EVVIVA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Sono passati! L'Italia che sa resistere ha vinto e ottenuto che l'acqua rimanga un bene di tutti, che l'investimento del futuro debba essere sulle energie pulite e alternative e che la LEGGE DEBBA RIMANERE UGUALE PER TUTTI!
Canto vittoria prima ancora di sentire il risultato finale. Il quorum e' raggiunto ma lo spoglio delle schede e' appena iniziato per cui non si puo' ancora dire che hanno vinto i SI. Pazienza, voglio rischiare di fare una figuraccia e quindi voglio esultare gia' da adesso. Almeno su questo non so resistere.
Dopo la trombata delle amministrative questo governo deve incassare anche questa seconda violenta sberla. Data con simpatia perche' noi qui ce la ridiamo. Abbiamo versato per troppo tempo lacrime amare di fronte a un governo spregiudicato e a un centro-sinistra inadeguato. Ora la societa' civile ha fatto sentire di esistere, di esserci e di voler decidere sul proprio futuro.
Questo refrendum non credo sia solo questo ma e' anche un voltaspalle da parte di una fetta della societa' nei confronti di Berlusconi che deve davvero aver deluso i suoi elettori con la politica del "non fare" e della propaganda.
Noi che abbiamo resistito sin dal primo momento possiamo finalmente sorridere, brindare (io ora stappo la bottiglia: cin-cin!) e godercela questa vittoria, ce la siamo meritata.
Vivo all'estero e quando sento i miei concittadini dire che si vergognano di essere italiani io mi inferocisco. Sostengo con forza che l'Italia e' anche il marciume che abbiamo e che dobbiamo spazzare via. Che gli italiani sono anche dei bambaccioni. Ma ogni generalizzazione e' sciocca. L'Italia e gli italiani, infatti, sono anche quelli delle piazze, dei girotondini, del gaypride, degli studenti, degli operai, dei lavoratori dei call-centres, dei professori e dei genitori che hanno colorato le piazze durante tutta questa era del berlusconismo. L'Italia e' quella di Garibaldi e dei Mille, e' quella della Resistenza, e' quella dei Benigni e dei Monicelli e chi piu' ne ha piu' ne metta perche' siamo questo e molto molto di piu' e sempre piu' bello.
Grazie Italia per questa altra fantastica giornata. Grazie per aver reagito ed esserti riappropriata della dignita' e della forza di dire: IL DIRITTO AL VOTO E' IL MIO E ME LO GESTISCO IO; cosi' decidendo del tuo futuro che poi e' il nostro, quello di noi italiani intesi come societa' civile.
EVVIVA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Carla

venerdì 10 giugno 2011

Da Granma Internacional:
Gli Stati Uniti vietano a Cuba di comprare anestetici per i bambini

Potete leggere l'articolo segnalatoci da Carla cliccando QUI.

VIAGGIO IN CANADA
di Carla Gagliardini

Prima di partire per il Canada mi immaginavo di andare in un paese modernissimo, di cui non si parla molto ma del quale si pensa bene.
Premettendo che il mio e’ stato un soggiorno molto breve, ho avuto modo di esplorare, attraverso l’interrogatorio a tappeto che ho fatto alla mia amica Colombiana che a Montreal si e’ trasferita poco piu’ di un anno fa, come vivano gli immigrati provenienti dai paesi in via di sviluppo.
Il governo canadese sembra aver bisogno di lavoratori qualificati, dall’elettricista all’ingegnere, e soprattutto di tanta gente giovane. Parrebbe, infatti, che anche in Canada il problema tipico dei paesi occidentali, ossia una popolazione sempre piu’ anziana, sia una realta’ con la quale fare i conti.
Per invogliare questi lavoratori stranieri il governo mette a loro disposizione, dopo un primo periodo di tre mesi in cui e’ fatta esplicita richiesta di mantenersi, corsi di lingua pressoche’ gratuiti i quali fanno da passaporto verso altri benefici. A Montreal per esempio i vantaggi di frequentare questi corsi sono: riduzione del prezzo per l’abbonamento ai mezzi pubblici, se il corso e’ di lingua francese e a tempo pieno un sussidio per un Massimo di un anno di CAN$240,00 mensili. In tutto il Canada dopo i primi mesi di residenza che sono a totale carico del nuovo arrivato, coloro che non hanno mezzi per sostenersi ricevono un aiuto economico che varia a seconda della composizione familiare. I singles prenderanno ovviamente meno, le coppie un po’ di piu’ (circa CAN$960 mensili) e le famiglie con figli ancora di piu’. Questo sostegno si chiama “ultimo ricorso” e consente a molti immigrati che nei loro paesi d’origine non hanno sbocco e vedono davanti a se’ solo un futuro gramo di poter giocarsi una carta dell’avvenire in un paese diverso. Infatti la maggioranza degli immigrati provenienti dai paesi in via di sviluppo fanno ricorso a tutti questi benefici per un periodo normalmente non inferiore a un anno. Durante questo periodo studiano con intensita’ il francese e l’inglese, entrambe lingue ufficiali in Canada, e frequentano corsi all’universita’ per poter poi iscriversi negli albi professionali canadesi (albo degli avvocati, degli ingegneri, degli architetti, ecc.). Infatti e’ previsto il superamento di un esame prima di potersi iscrivere a questi albi. Insomma si preparano al mondo del lavoro canadese.
Ovviamente questi benefici vanno a favore solo di coloro che in Canada arrivano con un visto di residenza, il quale viene normalmente rilasciato a seguito del superamento di un test di lingua francese e inglese e unicamente se vi siano gia’ esperienze di lavoro acquisite.
Trascorsi cinque anni in Canada (il conteggio degli anni viene fatto per giorni per cui chi si allontana dal paese anche solo per un giorno per una gita ai vicini USA, per esempio, non potra’ conteggiare detto giorno) lo “straniero” puo’ fare richiesta per divenire “cittadino” canadese.
Questa e’ la ragione che anima molti emigranti provenienti dai paesi in via di sviluppo a trasferirsi in Canada con il visto di residenza. Queste persone, infatti, sognano la cittadinanza di un paese occidentale per poter poi essere ampiamente liberi di viaggiare verso molti paesi per i quali, oggi, e’ loro richiesto un visto di turista o di altro genere.
Si sentono ingabbiati dentro le norme degli accordi o non accordi internazionali o bilaterali che li spogliano della liberta’ di movimento. Sognano, inoltre, un futuro meno duro di quello gia’ vissuto in patria.
Il Canada e’ uno di quei paesi che pone meno ostacoli al rilascio del visto di residenza e cosi’ molti asiatici, latino-americani e africani volano in massa verso le sue citta’. Montreal e’ un crocevia di culture, cosi’ come lo sono certamente Londra, Parigi e tante alter citta’ del mondo. Il Canada ha compreso l’importanza delle risorse umane e cosi’ ne facilita l’entrata nel proprio paese. Si tratta di persone qualificate a livello manuale o intellettuale che sono state tutte formate nei propri paesi di provenienza, con relativo costo per le casse pubbliche, e che vanno poi a mettere a disposizione di un altro paese le proprie competenze. Il Canada, ovviamente, non ha speso sino ad ora un soldo per la loro
educazione, salute, formazione professionale, ecc, ma un domani si avvantaggera’ delle loro capacita’, mentre nei paesi di origine il personale qualificato scarseggia.
Inutile dire quanto il nostro paese, l’Italia, oggi sia lontana anni luce da politiche di questo genere. E’ quasi fisicamente doloroso dover ammettere che il nostro paese spalanca le porte a noi italiani che andiamo all’estero a prestare le nostre competenze manuali e intellettuali per far crescere un altro paese e non il nostro. E’ moralmente ma anche politicamente penoso vedere come il nostro paese si barrichi nel tentativo tanto inutile quanto ingenuo di serrare quasi ermeticamente le frontiere allo “straniero”.

Noi italiani all’estero viviamo la condizione di immigrato, di straniero e ci rendiamo conto di quanto miopi siano quelle politche di quei governi che guardano a noi come il ladro di lavoro, l’approfittatore del sistema assistenziale, il ladro di case popolari, ecc. Lavoriamo come i cittadini inglesi, nel mio caso, e contribuiamo al benessere del paese dove viviamo pagando le tasse, fornendo una prestazione professionale che va a vantaggio della societa’ nella quale viviamo. Eppure sei stato tu Stato Italiano a spendere per la nostra formazione, la nostra educazione scolastica. Qualifiche, abilita’, capacita’, conoscenze che stiamo ora regalando ad altri paesi.
Ho aperto questo pezzo dicendo che il Canada prima della mia partenza mi sembrava un paese moderno lasciando intendere che la mia idea, al rientro, sia differente. Gia’, e’ proprio cosi’. Non e’ poi cosi’ moderno, non almeno Montreal, che ovviamente non rappresenta tutto il Canada ma che certamente e’ una citta’ conosciuta in tutto il mondo.
Ma di questo parlero’ in un altro pezzo per raccontare le impressioni, o forse meglio dire per snocciolare informazioni che mi hanno lasciata un po’ perplessa.

Carla

Debtocracy

Cliccate QUI per vedere il documentario segnalatoci da Simone R. e prodotto in Grecia,
che cerca le cause della crisi provocata dal debito pubblico.
Sottotitolato anche in italiano - selezionare nella parte superiore CC - Subtitles

mercoledì 8 giugno 2011

Referendum: i pericoli del voto all'estero

Un articolo dal blog di Mario Staderini, segnalatoci da Genny Carraro, da Il fatto quotidiano; per leggerlo cliccate QUI.

E "niente schede per gli italiani all'estero", sempre da "Il fatto quotidiano"; per leggere l'articolo cliccate QUI.

martedì 7 giugno 2011

Cosa succede quando si privatizza l'acqua

video segnalato da Nicola

Ancora per l'acqua pubblica e sull'Italia vista da fuori

Erri de Luca per il "sí", un video segnalatoci da Irene


Ed il link ad un articolo del "Morning Star" sulla rinascita della Sinistra italiana, segnalatoci da Simone Rossi, cliccando QUI .

mercoledì 1 giugno 2011

VIVA L'ITALIA CHE RINASCE
di Irene Zampieron

Sembrava che l'Italia si fosse addormentata, che avesse perso qualsiasi coraggio, qualsiasi speranza.
Che nell'incomprensione e sconcerto generale ci si fosse rassegnati all'impero berlusconiano, dove i diritti scompaiono ma le risate e le veline non mancano, dove si è presi in giro ma in fondo non si sta neanche così male. Questa era stata la mia triste impressione, all'ultimo passaggio torinese: stanchezza e rassegnazione. Per il primo maggio la piazza era mezza vuota, la gente distante, in una bella domenica di sole il richiamo era stato più per la grigliata in collina che per la rivendicazione di un'altra Italia possibile.

Poi a distanza di neanche un mese il miracolo, l'ottimismo della ragione come dice la Spinelli oggi su Repubblica ha prevalso: Milano e Napoli, rivendicando tutta la loro storia di grandi capitali italiane, hanno alzato la testa e hanno votato per un rinnovamento reale e radicale. E sui nostri giornali é tutto un parlare di rivoluzione gentile, in verità è la rivoluzione di chi la politica la vuole fare per passione civile e accoramento alle sorti del proprio mondo e non interesse quale che sia per poltrone e gerarchie economico-politiche. E adesso che la forza propulsiva é stata messa in atto, nulla ci deve più spaventare né l'inadeguatezza dell'opposizione né la presunta eternità politica del berlusconismo.

All'estero la domanda che più dolorosamente ricorreva era: ma com'è possibile che gli italiani continuino a votarlo, a sostenerlo. Com'è possibile che lo accettino come proprio rappresentante, come propria guida. La risposta abituale, a cui era sempre più difficile credere, era: la storia del modello passato da televisioni e media, il mito dell'italiano medio che vive di calcio e donnine, l'umiliazione costante di quella metà d'Italia che invece si riconosce in altri valori e ideali, ma che è divenuta afona a forza di porte in faccia e di un'opposizione che non la rappresenta.

Da oggi, da lunedì in verità, possiamo di nuovo essere orgogliosi della nostra Italia che è capace di grandi slanci, di programmi e di rinnovamento, di festa e di speranza. Di vita, cultura e dignità. E così si potrà spiegare che la peculiarità italiana è anche quella del non arrendersi, quella del non è mai troppo tardi per il cambiamento, quella di una vita sotterranea di idee e fermento. E un'altra aria si respira pure dalla Svizzera, il populismo e l'imposizione mediatica questa volta a Berlusconi non sono bastati, sono stati sconfitti, la sua piccolezza è trapelata dal sorrisone e dalle balle con cui ha riempito i tg e a cui gli italiani non credono più.
E così il fantasma del populismo si allontana anche dai cieli d'Europa.

Ora, di fondamentale importanza è rincarare la dose con il voto del referendum il 12-13 giugno. Appello a tutti noi esterofili: torniamo, votiamo, iscriviamoci all'AIRE per votare dall'estero, i nostri concittadini di Milano, Napoli, Cagliari hanno fatto la loro parte, noi non tiriamoci indietro!